“A
San Biàs, dùu ur in pàs”…
Esordisce con questo proverbio mia madre, chiedendole di
raccontarmi come si festeggiava il giorno di San Biagio quando lei era piccola…
Il significato di questo proverbio è molto semplice: tra
la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, le giornate iniziano ad allungarsi,
e il contadino di allora riteneva di poter utilizzare le ore aggiuntive di luce
dedicandole al riposo.
Ma torniamo al breve colloquio avuto con mia madre.
D. Che
cosa ricordi di questa festa?
R. “A s’andava in
gesa ai ses ur (ndr – una volta la messa prima era alle sei), e ai cinq e meza sunavan già i campann par
ciamà a racolta i gent. San Biàs al ta prutegi dal màa da güura”.
“Sa
purtava in gesa ul pan di puj, ul mangià di besti e ul sàal, i vecc purtavan ul
pan giald o una crosta da pan avanzàa a Natal, e i fioeu purtavan la brusela
fàa cun’t l’uga o i scigoll. Gh’era minga cum’è dess l’usanza da purtàa ul
panetòn, a savevum n’anca sa l’era. Po’ quij robb chì a ì’ eran dàa ai besti
par fai maràa no, e quij altar a i’ mangiaum nou, e ta fasevan vegnì no ul maà
da güura”.
“Quasi
tutt a li purtavan in da la spurtina, ca l’era fa da pell maroon a triangul
intreciàa. Sa faseva benedì ul tutt, ma ul bell l’era quand t’andavat dal prèed
a fas benedì la güura. Al ta meteva do candir incrusiàa tra lur e ligàa cun’t
un nastar russ in sota al barbell, e al ta dava la benedizion, e gh’era anca
quij ca basavan i candir. I candir ‘i eran stàa benedì ul dì prima, ul dì du la
Candelora, in dialett ciamada anca Cerioeùla o Scirieula, al dipend da la zona”.
Riassumendo in italiano: si andava alla messa delle sei
del mattino, dopo che alle cinque e mezzo le campane già chiamavano a raccolta
i fedeli. Si portava il pane per i polli, il mangiare delle bestie della stalla
e il sale (sempre da dare a quest’ultime), gli anziani il pane giallo e un
pezzo di pane avanzato del giorno di Natale, i bambini la famosa “brusela” (la “burzela” per i gerenzanesi, ricordo per chi non lo sapesse che mia
madre è di Turate, ma ovviamente da quando si è sposata risiede da tempo
immemore a Gerenzano), fatta con uva o con le cipolle. A quei tempi il
panettone non si conosceva ancora, per loro era un dolce assolutamente
sconosciuto (anche se in realtà a Saronno esisteva l’equivalente del panettone,
il famoso “Marmott”, cui mi sono ripromesso di dedicargli un
apposito articolo più avanti). Questi “mangiari” benedetti, una volta
inghiottiti, servivano a proteggere dai malanni invernali, come per esempio mal
di gola e raffreddore nel caso degli uomini.
Il tutto era inserito nella sportina, la borsa che tutti
avevano a quell’epoca. Fatta di pelle marrone, era fatta da strisce triangolari
intrecciate fra loro. Il tutto era fatto benedire, ma lo scopo era anche quello
di farsi benedire personalmente la gola. Si andava dal prete, il quale teneva
due candele accese e incrociate fra loro, e che erano tenute assieme da un
nastro rosso. Si appoggiava il mento tra le due candele, e si veniva benedetti
(oppure c’erano anche quelli che le baciavano). Le due candele propiziatorie
erano state benedette il giorno precedente, quello della Candelora, altra
festività religiosa molto sentita.
Mia madre mi regala poi un’ultima battuta relativa ai
giorni nostri sui festeggiamenti di San Biagio a Gerenzano: “Ul Don Filippo, ul dì da San Bià, al dis
sempar ca la mai vedùu tanti donn in gesa cum’è qual dì lì ! A sa fann vidè a
San Biàs cun’t la spurtina piena da panetòn e bumbòon da benedì, ma par tutt ul
rest du l’ann, sa fan vidè mai !”
Vediamo di capire il motivo per il quale si venera in
maniera così devota San Biagio, usanza tramandata da ormai tanti secoli
Biagio, vescovo e medico armeno vissuto nel IV secolo, scampò
alle persecuzioni contro i cristiani rifugiandosi in una grotta. Qui, ai malati
che si recavano in preghiera da lui, impartiva la benedizione, facendoli
guarire.
In seguito catturato e imprigionato nelle carceri,
continuò la sua opera di carità nei confronti di ammalati e infermi, finché a
causa di due particolari eventi, la sua fama crebbe a dismisura.
Quali sono questi eventi? Vediamoli nel dettaglio.
- Un ragazzo era in punto di morte a causa di una lisca di pesce conficcata in gola. La madre si rivolge a San Biagio, chiedendole di intervenire per salvare il figlio. Il Santo riesce a togliere la lisca, facendo guarire il ragazzo.
- Riuscì a far riavere a una donna un maialino a lei sottratto da un lupo. La donna, in segno di riconoscenza, portò al Santo cibo e candele. Biagio le disse: “Ogni anno offri una candela alla chiesa che sarà edificata a mio nome, e nulla ti potrà mancare”.
Tra i simboli che ricordano il Santo, c’è il pettine da cardatore
di ferro (che è lo strumento con cui fu torturato prima di essere ucciso, e che
lo ha fatto diventare il protettore dei cardatori di lana), ma principalmente
nelle sue immagini è spesso raffigurato con i due ceri incrociati, che
ricordano il miracolo della lisca di pesce. Da qui ci si ricollega quindi all’attuale
usanza di invocare il Santo come protettore della gola e del naso, ma esso veniva
anche ricordato nel mondo contadino come propiziatore di buon raccolto. Ovverosia
l’agricoltore portava in chiesa un pugno di semi da benedire, che
successivamente seminati, si sperava garantissero una buona germinazione e
raccolta.
Un’ulteriore curiosità su San Biagio: è stato il primo
Santo indicato come protettore dell’amore e degli innamorati. Da anni ormai è
stato scalzato da San Valentino, ma in alcune località lombarde viene ancora
festeggiato anche per questo motivo (esiste ancora questo proverbio e usanza: “El prim c’al sa incontra, al sa basa”).
Altri due proverbi famosi nelle nostre località riguardanti
San Biagio, sono i seguenti:
- A San Biàs sa benediss la güura e ul nàs
- A San Biàs géra la gòta sota al nàs
Ma di Sant’Agata avrò il piacere di raccontarvi un’altra volta…
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