domenica 7 giugno 2020

Requiem per via Rovello...

Sabato 6 giugno 2020 è avvenuta la chiusura di via Rovello in corrispondenza dell'attuale passaggio a livello.

Prima…


Dopo…
Chiusura determinata dall'apertura del nuovo sottopasso veicolare/ciclopedonale tra Gerenzano e Turate, che si prefigge di eliminare, per ragioni di sicurezza, i passaggi a livello esistenti tra i due paesi, oltre ad evitare le interminabili code di automobili che si formano in prossimità della stazione.
Lo studio di quest'opera, voluta da FNM, risale ad almeno una ventina di anni fa, e dopo alcune revisioni di progetto e/o stralci di alcune parti decise di comune accordo con le due amministrazioni comunali, ha preso l'attuale conformazione finale: dalla rotonda della stazione lato Gerenzano, si gira verso destra in via Biagi, si costeggia la ferrovia, si scende nel sottopasso verso sinistra, e si risale su di una lunga strada che attraversa la campagna e porta a congiungersi con Turate.
Ma non è il sottopasso il punto su cui voglio focalizzarmi (anche se egoisticamente non mi piace, perché "butta" a ridosso di casa mia una notevole quantità di traffico e quindi smog e rumore, oltre a sacrificare altro verde), ma bensì la chiusura di via Rovello. Molti sapranno che io abito in questa via, ci sono nato e cresciuto, e quindi logicamente vi sono molto "attaccato". So praticamente vita, morte e miracoli della mia via, ne conosco ogni metro, anfratto e sasso. La percorro tutti i giorni, vedo l'evolversi dei suoi campi durante le stagioni, le facce dei suoi residenti, le splendide immagini che regala con la visione dei monti lariani e varesini. Ad essa, quando "indosso" i panni di domozimurgo, ho addirittura chiamato in suo onore la Pilsner da me prodotta, la "Via Ruvell"!

Nell'ormai lontanissimo 1884, via Rovello subì il primo "sfregio": la costruzione della linea ferroviaria Saronno-Vedano Olona, poi prolungata fino a Laveno, tagliò in due la strada, facendola rimanere comunque percorribile attraverso un passaggio a livello.
A distanza di ben 136 anni, via Rovello muore. Sì, muore, perché l'eliminazione del passaggio a livello e la chiusura della strada ne determinano la fine nella sua interezza. La strada rimarrà divisa in due tronconi, il primo sarà quello lato Varesina, l'altro sarà quello che va verso l'A9, che costeggiandola, sbuca sulla rotonda del Tigros. Decade quindi l'utilità di collegamento diretto che aveva l'intera via con il paese, e non da meno, la componente sociale che può avere una strada tra i suoi residenti a livello di rapporti umani e di vicinato!
Se finora era possibile, tramite "due passi", incontrare i vicini di casa al di là della ferrovia attraversando il passaggio a livello, d'ora in poi sarà fattibile solo facendo un lungo giro.
Se finora un residente nel tratto lato A9 che deve raggiungere in auto il centro paese può arrivarci velocemente passando per il lato della Varesina, d'ora in poi potrà farlo solo facendo un lungo giro.
Se finora un residente nel tratto lato A9 deve raggiungere in auto Turate, d'ora in poi potrà farlo solo facendo un lungo giro.

La chiusura della via porta a pagare, inevitabilmente secondo me, un prezzo "piuttosto" alto a livello di viabilità per i residenti lato A9, alcuni dei quali posso assicurarvi non esserne propriamente felici. Anche se, lasciatemelo dire, osservazioni ed eventuali reclami andavano fatti in fase di presentazione del progetto del sottopasso, lamentarsi ora è praticamente inutile.

Via Rovello per i suoi abitanti e vicini di zona, ha sempre rappresentato una valvola di sfogo, soprattutto durante le serate estive: ci si inoltrava lungo la via, spingendosi fino al ponte dell'autostrada e anche oltre verso Rovello, per fare due passi dove rilassarsi in mezzo alla campagna, o più semplicemente per cercare un po' di fresco scappando dalla calura estiva.
E mi ha fatto molto piacere, in queste ultime settimane dove si è potuto tornare a circolare liberamente dopo la chiusura dettata dalle restrizioni dovute al COVID19, il vedere tanta gente che a piedi, in bicicletta, con bimbi o cani hanno scoperto o riscoperto via Rovello, facendo lunghe passeggiate. Tante persone, mentre lavoravo nell'orto di casa, si sono fermate a chiedermi informazioni sul perché la via verrà chiusa, riconoscendo ad essa una particolare bellezza di via periferica, tranquilla, che porta e finisce in un dedalo di strade e stradine di campagna dove poter "assaporare" profumi e colori dei campi agricoli. Oppure molti l'hanno scelta come nuova "pista" di allenamento per la corsa, arrivando a lambire il confine con Rovello, preferendola all'ormai "troppo battuta" pedonabile che porta al Parco degli Aironi e all'anello interno del parco stesso.

Quel che a me mancherà, saranno sicuramente i rapporti sociali quotidiani con i miei vicini di casa d'oltre ferrovia, il chiacchiericcio quotidiano sulla vita di ogni giorno, lo scambio di battute, impressioni e consigli sui rispettivi orti, facendo a gara su chi ce l'ha più bello, il raccontarsi "zabettando" di cosa è successo o ha combinato "tal dei tali", etc. Per non perdere queste abitudini, cercherò di fare un po' di moto inforcando la bicicletta, andando ad imboccare il sottopasso per uscire in via Rovello lato A9. Dovrò quindi fare un giretto più lungo, roba che in linea d'aria invece attraversando l'attuale passaggio a livello, saranno 50 metri!

E "romanticamente" mi mancherà anche il suo passato! Si chiude un'epoca dalla quale riaffiorano i ricordi: le passeggiate fino al ponte dell'autostrada da piccolo con i miei nonni, i giri in bici, le discese con lo slittino con la neve nel campo dopo villa Buraschi, i "muròon" del campo del "Purcinela", il "Purcinela" stesso, il viavai di trattori e attrezzi agricoli di tutti i tipi ed epoche, i Gnuz con carro e biciclette, "ul Guzett" e sua moglie Mariagiulia, che mi diceva sempre che vedendomi lavorare nell'orto gli sembrava di rivedere mio papà. Le battute in cerca di "gambe secche", vesce e prataioli con gli amici di via Moneta, il campo di calcio con le porte in legno costruito dai residenti di via Moneta in prossimità del ponte dell'autostrada, "ul Luisin", l'Antonietta, l'Angelina e la Teresina, il campo del "Luisin", dove di fianco c'era quello del Carmelo, il Vito, l'Ezio, i papaveri e i fiordalisi di cui i campi di via Rovello erano pieni. Il clanck-clanck meccanico delle campanelle delle barriere che si abbassavano, il Rocco parrucchiere che rimase chiuso nel passaggio a livello con la sua macchina, la "Maria Cincent", i "Caramela", "ul panciotino" con la sua Opel Rekord gialla, il Volontè e la sua rimessa di bus, i racconti dei miei nonni sui partigiani che in tempo di guerra, percorrendo la via, andavano ad assaltare le macchine dei fascisti in fuga al ponte dell'autostrada per rapinarli, la Maria Nuara, i mitici Guido e Giuseppina, l'Angiulina, la Maria Bona, i Patrini con i loro boxer e la loro immensa pianta "da scires", l'O.R.A.I Italia e le sue leggendarie barre di uranio.
E tanti, tanti altri personaggi e storie che la mia memoria porterà sempre con me...

Con la chiusura di via Rovello, si pone tristemente fine alla secolare storia della strada stessa. Nel Catasto Teresiano del 1722, essa era già presente, quindi di sicuro ha almeno minimo tre secoli di vita. Possiamo quindi dedurre che la strada esisteva già ben prima dell'anno di redazione di questa mappa, e probabilmente era una strada di gran passaggio di uomini e merci, visto che collegava i due paesi.

Nelle immagini seguenti, potete vedere via Rovello rappresentata nella mappa del Catasto Teresiano, in una risalente a metà 1800, e in un'altra del 1943. Vi ho aggiunto alcuni riferimenti e descrizioni in rosso per far capire dove la strada verrà chiusa.
Per la mappa del Catasto Teresiano del 1722, desidero ringraziare il geometra Sergio Garbelli, gerenzanese DOC, che me l'ha fornita.
Le mappe di metà 1800 e del 1943 invece appartengono all'Archivio Storico Mario Carnelli.

MAPPA DEL CATASTO TERESIANO RISALENTE AL 1722
Dalla mappa si nota che l'attuale Varesina non è stata ancora costruita, e di conseguenza neanche l'osteria del Bettolino.

MAPPA RISALENTE ALLA META' DEL 1800

Dalla mappa si nota che l'attuale Varesina e il Bettolino sono già presenti, manca ancora la ferrovia che verrà costruita, come detto in precedenza, nel 1884. In via Rovello, si può notare la diramazione della strada consorziale detta del Bosco Castano. Questa stradina di campagna esiste ancora oggi. 
MAPPA DEL 1943
Dalla mappa si nota la presenza della ferrovia, della Varesina, dell'autostrada A9 e delle fabbriche De Angeli-Frua, N.I.V.E.A., Calzificio Buraschi e Ri-Ri (quest'ultima in territorio turatese). La mappa intera è presente anche sul libro "Rimembranze gerenzanesi - parte seconda" di Mario Carnelli

Video chiusura sbarre passaggio a livello via Rovello

Il simbolo di via Rovello, il drago GERESAURO...
Presso la casa diroccata del civico 32 di via Rovello, si trova la vecchia targa recante il nome della strada. Rovinata nel corso degli anni da intemperie e sassate, la scritta lascia ormai il posto alla raffigurazione di una testa di drago coronata che sputa fiamme (alla destra della testa si può notare anche parte della coda del drago che fende l'aria). Tra gli abitanti della via, si è diffusa la leggenda che l'immagine rappresentata in questa targa sia quella di  un vero e proprio drago vivente, il Geresauro! Esso vaga di notte lungo la via Rovello e nei campi adiacenti, "fiammeggiando" contro ogni persona o cosa che gli si pari dinanzi! Ancora oggi qualcuno racconta che, percorrendo via Rovello in notturna, lo si possa incontrare o intravedere...
La raffigurazione del drago Geresauro sulla targa presente in via Rovello…

Vecchie foto di via Rovello
L'incrocio tra via Rovello e via San Giuseppe fotografato da casa Carnelli: era praticamente ancora tutta campagna (anni '30 - foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)
Uno degli ultimi filari di gelsi presente nel campo del Purcinela - verrà poi sciaguratamente estirpato qualche anno dopo (1984 - foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)
Lo stesso filare fotografato da altra angolazione
Foto aerea del 1954: si riconosce la Varesina, la ferrovia, via Rovello, N.I.V.E.A., De Angeli-Frua e Ri-Ri (foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)

Via Rovello, le sorelle Turconi davanti ai "capp" (foto tratta dal libro "Rimembranze gerenzanesi - parte seconda" di Mario Carnelli)
Via Rovello, famiglia Turconi in posa per la foto - a sinistra si può notare una tavola per l'allevamento dei "cavaler", il baco da seta. Alle loro spalle si vede il filare di gelsi del campo del Purcinela e la cascina del Purcinela stesso (foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)
Villa Buraschi, sede dell'omonimo calzificio (1984, foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)
La "cà dul Baloeu" (1984, foto tratta dal manoscritto "Rimembranze gerenzanesi" di Mario Carnelli e Albino Porro)
Gioco "Trova le differenze tra le due foto" (in entrambe, il campo raffigurato è il medesimo)


luglio 2017
giugno 2020
Ciao via "Ruvell", forse un giorno tornerò a calcarti per intero, senza alcuna divisione...

venerdì 20 marzo 2020

Il pianto della vite: come preservare la vista nella tradizione contadina...

Nelle scorse settimane ho provveduto a potare le piante da frutto di casa mia, tra cui le svariate qualità di viti d'uva: americana, "grenta" ovverosia Clinton, Barbarossa, Regina e Italia.

Sono piante a cui sono particolarmente affezionato:

  • l'americana e "grenta" perché da sempre presenti nel mio frutteto
  • La Barbarossa perché era una vecchia varietà presente in Gerenzano, che l'amico Armido Mognoni ha recuperato e me ne ha successivamente donato un tralcio da trapiantare
  • La Regina perché fino agli anni '60 dominava l'ingresso di casa Carnelli con svariate e imponenti topie (se si vuole approfondire il significato di topia vedi qui), da cui pendevano bellissimi grappoli dagli acini enormi, vera e propria caratteristica di questo vitigno (ancora oggi mio zio ne decanta la bellezza, il colore e grandezza, ricordando quando veniva a casa mia per trovare sua sorella, ovverossia mia madre). In ricordo di tutto ciò, ho provveduto recentemente a piantarne una vite, nella speranza di vedere ed assaggiare quanto prima quest'uva 
  • L'Italia, ultima piantata, perché donatami da un collega

Ma torniamo a parlare della fase di potatura della vite.
Quando si arriva a recidere il tralcio di questa pianta, si vive sempre un'emozione particolare: dal taglio eseguito, fin da subito fuoriesce un liquido trasparente come acqua, che piano piano gocciola a terra o scorre lungo il ramo.
E' la linfa della vite, che nel periodo di avvicinamento alla primavera e quindi al germogliamento, riprende con vigoria a scorrere attraverso il fusto ed i tralci, iniziando a dare il via ad un nuovo ciclo vitale della pianta! Essa è un insieme di zuccheri, composti organici ed acidi che fanno da vero e proprio "corroborante" alla vite, risvegliandola dal riposo vegetativo invernale.
Ed è curioso vedere come questa linfa serva anche a cicatrizzare le "ferite" imposte dall'uomo alla vite: infatti, seccandosi sul punto in cui è avvenuto il taglio del tralcio, essa contribuisce a "ricucire" il tessuto ligneo, ricordando vagamente la funzione cicatrizzante delle piastrine contenute nel nostro sangue.

Appassionato di vecchie tradizioni contadine, conosco molto bene quella legata al "pianto della vite" o "lacrima della vite", in quanto a casa mia è sempre stata raccontata da mia madre (e l'ha anche "subita").

Ma in cosa consiste?

Semplicissimo: nel mondo contadino di una volta, quando arrivava il periodo della "lacrimazione della vite", compito delle donne era prendere i figli, fin dalla nascita, e portarli nei pressi del tralcio "lacrimante". Qui, le donne si bagnavano le dita delle mani, e le facevano passare sugli occhi e palpebre dei bambini. Ci si metteva poi a mani giunte, recitando il Padre Nostro. Era credenza popolare che, facendo questa operazione, si sarebbe preservata la vista negli anni a venire.
Dobbiamo ricordare che nel passato, buona parte delle malattie che oggi noi riusciamo a curare, una volta potevano essere in realtà causa di grossi problemi di salute, e le cure, se esistenti, erano esclusivamente alla portata dei ceti più abbienti.
Per questi motivi esisteva quindi una "medicina" alternativa in uso tra i più poveri (e quindi tra i miei amati "paisan" contadini del tempo): una "medicina" empirica, legata a leggende, tradizioni e riti dell'epoca, tramandate di famiglia in famiglia, che a volte sfociava anche in innocente ed ingenua stregoneria. "Medicina" che è stata in uso fino a qualche decennio fa, ancora oggi magari qualche "giovanotto" della mia età può raccontare di essere passato tra uno dei tanti "rimedi" della nonna. Per esempio, ricordo benissimo come se fosse ieri il famoso "decòtu", decotto in dialetto turatese, alla malva contro il mal di testa, ricetta di mia nonna "Giuanina" soprannominata la "biòla" (nota: era ben a conoscenza del proverbio "u la malba, tutt i mal i a calma", ovverosia la malva era utilizzata come rimedio a svariati dolori).

Staccandoci un attimo dal rito del "pianto della vite" ma pur sempre legato alla vista, vale la pena ricordare che i "nostar paisan" riconoscevano, nel caso di dolore o arrossamento agli occhi, il fatto che non ci fosse alcun tipo di "medicina" valida alla risoluzione del problema.
"Ul nient l'è bon par gli oeucc" dice un proverbio saronnese, ovverosia non c'è alcun rimedio per gli occhi.
Semplicemente essi, tramite una preghiera, chiedevano l'intercessione di Santa Lucia, patrona della vista, per cercare di alleviare e far passare il malessere.

Pur affidandosi quindi a tutta questa "medicina" alternativa, a volte probabilmente il tanto bistrattato e deriso mondo contadino non andava molto lontano dal trovare il corretto rimedio per le varie malattie.
Nello specifico caso dell'utilizzo della linfa della vite, possiamo vedere come al giorno d'oggi venga impiegata all'interno di colliri, ed allargando il campo d'utilizzo, come agente contro il trattamento di verruche e porri, oppure in creme per il viso e contro le macchie della pelle.
Mentre volgendo lo sguardo ad un passato molto più remoto, già Plinio il Vecchio faceva riferimento in uno dei suoi libri contenuti nell'opera "Naturalis Historia" ad una mistura di lacrima di vite e sangue di rana da applicare sugli occhi, mentre Santa Ildegarda, esperta naturalista vissuta nel XII secolo, nel suo libro "Causae et curae" indicava le lacrime di vite come rimedio a vista annebbiata, mal di orecchie e mal di testa.

Come detto in precedenza, mia madre ha avuto il "privilegio" da piccola, di avere gli occhi bagnati dal pianto della vite. Racconta che mio nonno Angelo, ul regiùù du la cà, quando potava l'uva diceva a mia nonna: "vegn chì cunt i fioeu, che vegnan giò i gott du l'uga". Ma se dobbiamo vedere i risultati, direi che sono stati pessimi, visto che indossa gli occhiali da ormai tantissimi anni!

Battute a parte, chi mi conosce sa il mio amore nel portare avanti la conoscenza di queste vecchie usanze e tradizioni, in quanto facenti parte della nostra storia locale. E continuerò a farlo, perché pur vivendo nel XXI secolo, sento di appartenere a quel mondo bucolico...

Di seguito alcune foto scattate a casa mia del "pianto della vite".

Lacrima quasi addensata...


Piccole lacrime...


Quasi in caduta verso terra...

venerdì 31 gennaio 2020

Un fine settimana a Lucerna tra cultura e mercatini di Natale...

Lo scorso mese di dicembre, con Sabri e Kiki, abbiamo visitato la splendida cittadina svizzera di Lucerna, incuriositi anche dalla possibilità di visitare i suoi mercatini di Natale.

Posizionata sul Lago dei Quattro Cantoni (chiamato anche Lago di Lucerna), è separata in due parti dal fiume Reuss, ed è famosa soprattutto per i suoi due ponti di legno che collegano tra loro le due divisioni della città (famosissimo soprattutto è il Kapellbrücke).


Il Kapellbrücke
Partiamo in treno dalla stazione di Milano Centrale nella mattinata di freddoloso venerdì. La scelta è ricaduta sul treno in quanto ci sembrava la soluzione più comoda. In circa tre ore e mezzo ci porterà a destinazione, pensando di fare un viaggio tranquillo e comodo, ammirando il panorama. Bene, comodo si rivelerà sicuramente, tranquillo invece lo sarà a metà a causa di una numerosissima famiglia di connazionali, seduta vicino a noi, che ci "allieterà" il viaggio con urla, discussioni ad alta voce, improperi e gossip degno dell'italiano medio. Fortunatamente, di fronte alle nostre rimostranze, il capotreno ci fa accomodare in prima classe, dove riusciremo a terminare il viaggio in modo molto più sereno, ma purtroppo l'educazione per alcuni rimane sempre un oggetto misterioso.
Bando alle ciance, eccoci a Lucerna!

Il benvenuto alla stazione di Lucerna
Depositati i bagagli nel nostro albergo, ci dirigiamo verso la nostra prima meta: la chiesa dei Francescani, la Franziskanerkirche, risalente al XIII secolo, e famosa per la Cappella di Sant'Antonio. Oltre alle bellezze che troviamo internamente nella chiesa, un particolare desta la nostra curiosità: in un angolo, un piccolo tavolo e delle sedie, su cui sono poggiati fogli, matite e pennarelli, indica che vi è uno spazio dedicato ai più piccoli, dove hanno la possibilità di sedersi e fare disegni a loro piacimento, per poi appenderli sulla lavagna retrostante. Non mi era mai capitato di vedere una cosa simile in una chiesa, e la noteremo anche nelle successive chiese che visiteremo.








Usciti dalla Franziskanerkirche, subito dietro ad essa, si aprono due piccole piazzette collegate tra di loro da una stretta viuzza. Qui troviamo il primo mercatino di Natale, dove artigianato locale, bevande e cibi tipici fanno sfoggia di sé: una specie di vin brulé riscalderà per bene le mie ossa, mentre le ragazze si rifocillano con un dolcetto. Su di una bancarella dedicata a personaggi e attrezzature di legno per presepi, farò anche qualche acquisto per arricchire il mio "presepe agricolo". Se devo essere sincero, non rimaniamo molto entusiasti di questo primo mercatino, ci pare piuttosto povero e monotono.




Arriviamo quindi sul fiume Reuss, e ci dirigiamo verso lo splendido Kapellbrücke. Si tratta di un ponte completamente di legno che attraversa il fiume e che prende il nome dalla vicina Cappella di Sankt Peter, e sulla cui destra emerge dalle acque la famosa e imponente Torre dell'acqua (Wasserturm). La particolarità di questo ponte è che sotto la copertura triangolare superiore, vi sono inserite più di cento tavole in legno riportanti degli affreschi in cui è narrata la storia sia della città, sia della Svizzera in generale. Purtroppo alcune tavole sono andate perse durante l'incendio del ponte avvenuto nel 1993, e sono state sostituite con delle copie.
La maestosità del ponte, il leggero cigolio delle tavole di legno su cui si cammina, e la sua storia, rendono emozionante il suo attraversamento, e ci concediamo anche qualche sosta per goderci la vista della città.





Superando l'Altes Rathaus (il municipio, dove non può mancare il solito ristorante interno, come tutti i Rathaus visti quest'estate in Germania), giungiamo quindi nella parte vecchia di Lucerna, dove, a nostro malgrado, immancabilmente finiamo nelle classiche vie dello shopping moderno. Luci natalizie e vetrine addobbate addolciscono l'atmosfera, ma la frenesia della gente rimane piuttosto fastidiosa. Dopo aver quindi visto alcuni negozi, decidiamo di spostarci verso la stazione ferroviaria, dove lì vicino, sulla riva del lago, sorge il Kultur-und Kongresszentrum (centro di cultura). Si tratta di un edificio moderno progettato dall'architetto francese Jean Nouvel nel 1999. Dalla forma particolare, squadrata, e con tutte pareti a vetro, ospita il museo d'arte moderna, una biblioteca, un centro congressi e una caffetteria, frequentata soprattutto da giovani studenti. Al suo interno è presente anche un teatro/sala concerti.
Rimaniamo stupiti dalla quantità di persone che lo affollano, sicuramente si tratta di un bellissimo punto di ritrovo per la città, chiediamo anche la possibilità di visitare il teatro, ma purtroppo sta per iniziare uno spettacolo e quindi non possiamo accedervi.
Peccato, ma nel frattempo, Kiki nota una cosa all'esterno del centro culturale che non può non attirarla: un'enorme pista di pattinaggio all'aperto, in riva al lago. Non possiamo non esimerci dal fare una bella pattinata! Pronti, via! Noleggiati i pattini, s'inizia a "danzare" (o meglio rotolare) sul ghiaccio. Cadute, scontri e qualche improperio in tedesco ci arriva, ma il divertimento non manca, tanto che ci lasciamo le ossa su quella pista per quasi un'ora e mezza!
"Raccattato" quel che rimaneva di noi stessi, ci dirigiamo in un piccolo parchetto sul lago dietro il Kultur-und Kongresszentrum, dove è presente un secondo mercatino. Ne approfittiamo per mangiare con calma, e poi rientriamo in albergo, perché anche questo mercatino è piuttosto deludente.

Verso il centro

Vie dello shopping

Cala la sera...

Si pattina...

Albero di Natale

Notturna dal Kapellbrücke
Il giorno successivo è ricco di appuntamenti. Usciti dall'albergo, ci dirigiamo verso il secondo ponte di legno sulla Reuss, lo Spreuerbrücke (Ponte del Mulino). Anche questo ponte è molto particolare: presenta sempre delle tavole dipinte, dove su ognuna di essa è rappresentato un determinato lavorante che viene "accolto" dalla morte! Piuttosto macabro, ma molto suggestivo!

Lo Spreuerbrücke
Il secondo appuntamento sono le vecchie cinte murarie medievali poste a nord-est della città: le famose Museggmauer. Si trovano su di una collina che domina Lucerna, e fanno da sfondo alla vista cittadina. Ci inerpichiamo quindi su di un ripido sentiero che ci porta a costeggiare le mura. A distanza di circa 100 metri l'una dall'altra, troviamo le Museggturm, le torri di guardia, e dall'ingresso di una di esse, cerchiamo di salire sulla camminata posta in cima alle merlate delle mura. Purtroppo un cartello indica che la camminata è chiusa nel periodo invernale, e quindi dobbiamo desistere dal percorrerla.

Uno degli ingressi alle Museggmauer
Non ci perdiamo d'animo. Siamo sopra la collina, una vista stupenda su Lucerna ed il suo lago ci accompagna tra le vie di un quartiere lussuoso, in un susseguirsi di ville antiche e moderne che "rapiscono" la nostra attenzione. Giungiamo quindi a una delle attrazioni più famose della città e della Svizzera in generale, il Lowendenkmal Luzern, il Leone di Lucerna. Si tratta della raffigurazione di un leone morente, che è scolpito nella roccia. Ha dimensione davvero notevoli ed imponenti. Il leone è rappresentato con la testa poggiata su di uno scudo di Francia, che protegge anche con gli artigli, e presenta una ferita sul fianco causata da una freccia. Sopra la nicchia è presente l'inscrizione latina "HELVETIORUM FIDEI AC VIRTUTI" (significa "Alla fedeltà e alla virtù degli Elvetici"). Il monumento è un omaggio alle guardie svizzere uccise durante la Rivoluzione Francese nel 1792, le quali avevano il compito di difendere Re Luigi XVI.



Ci spostiamo di qualche metro, ed eccoci a visitare il famoso Giardino dei Ghiacciai. La sfortuna ci perseguita, e anche qui un cartello indica che una parte del Giardino non è visitabile. Spiace, ma ormai siamo lì e quindi decidiamo di visitarlo lo stesso. Ma cos'è il Giardino dei Ghiacciai? Si tratta di un percorso tra marmitte enormi, dal diametro di quasi 10 metri e di pari profondità, derivate dall'erosione fatta da un ghiacciaio in epoca glaciale. E' davvero impressionante come la massa di ghiaccio e poi acqua abbia scavato e levigato la roccia, rendendola davvero liscia. Molto belli e curiosi anche i vari tipi di fossili (sia animali, sia vegetali), che si trovano durante il percorso. Purtroppo non possiamo visitare la rimanente parte a causa di alcuni lavori in corso, ma sicuramente la visita è stata interessante ed istruttiva.



Sulla discesa che ci riporta verso il centro città, passiamo all'interno della cupola del Bourkaki-Panorama, dove ammiriamo l'enorme dipinto circolare nel quale è rappresentata la guerra franco-prussiana, e giungiamo a visitare la chiesa di Hofkirche (Collegiata di San Lodegario e Maurizio). La caratteristica di questa chiesa sono le due slanciate torri che si spingono verso l'alto, uniche parti sopravvissute alla demolizione della chiesa avvenuta intorno al 1600, mentre un'ampia scalinata conduce al suo ingresso.
Ci concediamo poi una piacevole passeggiata sul lungolago, dove possiamo ammirare, avvolto dalla neve, il maestoso monte Pilatus, che domina Lucerna ed è uno dei suoi simboli. Noi non abbiamo avuto tempo di farla, ma le guide indicano che il Pilatus merita davvero un'escursione per andare alla sua scoperta. Sul lungolago abbiamo poi l'opportunità di vedere un anfiteatro utilizzato soprattutto d'estate per concerti all'aperto, e molto curioso, gente che giocava a bocce in piccoli spiazzi!

Verso il Bourkaki-Panorama


Chiesa di Hofkirche







Il monte Pilatus

Si gioca a bocce...


Dopo un assaggio di cioccolato in una lussuosa cioccolateria artigianale (siamo in Svizzera e non potevamo non farlo), torniamo tra le vie del centro, dove udiamo un suono di campanacci. Ma sì, sono loro! San Nicola, i bambini ed i Krampus, che a suon di campanacci sfilano in città per scacciare il male. Una rappresentazione ancora molto in voga sull'arco alpino, anche nel nostro sud Tirolo e Trentino. Ed è una festa per i più piccoli, i quali chiedono doni ai più grandi (si tratta sempre di caramelle e dolcetti). Impressionante il rumore dei campanacci, che sono davvero enormi ed in numero davvero notevole, mentre il "cattivo" Krampus, sceso dalle zone più impervie delle montagne, con la sua frusta castiga tutti i malcapitati che si trovano sotto tiro, ed è compito di San Nicola tenerlo a bada!



Lasciamo passare tutto il corteo, e ci dirigiamo in Muhlenplatz, dove ci attende l'ultimo mercatino. Anche qui oggetti di artigianato locale la fanno da padrone, ma non ne siamo particolarmente attratti, e quindi ci spostiamo ancora (i mercatini di Natale saranno la vera delusione di questo weekend).

Attraversando il terzo e più recente ponte sopra la Reuss, giungiamo di fronte alla chiesa barocca dei Gesuiti, la Jesuitenkirche: tra le chiese visitate, sicuramente è quella che ci ha colpito di più, con la ricchezza dei suoi stucchi alle pareti, dove l'alternarsi del colore bianco delle pareti con quello rosa di stucchi e marmi, crea un contrasto di notevole impatto visivo, davvero bello.

Il più recente ponte ad archetti sulla Reuss...

Curiose facciate
L'interno della Jesuitenkirche





Inizia a calare la sera, decidiamo quindi di trovare un buon ristorantino dove rifocillarci (abbiamo notato che qui si cena molto presto, verso le 18.30), per poi chiudere con una bella birra fresca in un pub molto carino.

Magie di luce...

Notturna...


Il mattino dopo siamo pronti per passare le ultime ore in terra svizzera, e come da programma, ci rimane un'ultima cosa da visitare: il Sammlung Rosengart Luzern!
Si tratta di un museo ricavato nei locali dell'ex Banca Nazionale della Svizzera, dove è esposta la collezione Rosengart, della quale fanno parte alcune tra le opere più importanti di pittori del calibro di Picasso, Klee, Matisse, Monet e Cézanne. La collezione appartiene alla famiglia Rosengart, ed è il frutto di svariati anni di raccolta e acquisto di opere da parte del commerciante d'arte Siegfried Rosengart e poi di sua figlia Angela.
Un intero piano è dedicato a Pablo Picasso, dove possiamo trovare anche foto, oggetti personali, acquerelli, disegni, oltre ai suoi stupendi dipinti.
Tra le opere di altri pittori degne di nota troviamo "Sera alla finestra" di Chagall, "Lauretta con il turbante bianco" di Matisse, una natura morta di Cézanne, alcuni paesaggi invernali di Monet, il "Lagunenstadt" di Paul Klee, e anche la "Cariatide" del nostro Amedeo Modigliani.
In breve, per chi è amante dell'arte, di questi pittori, non può fare a meno di visitare questa collezione, da sola vale l'intero viaggio a Lucerna.

Viaggio a Lucerna che si conclude nel pomeriggio, il treno ci aspetta. Fortunatamente la nostra carrozza è sgombra da "disturbatori", partiamo, nuvole minacciose e scure affollano la cima del Pilatus, ma noi nel giro di qualche minuto corriamo già lontani! Lucerna, con il suo carico di storia, cultura, fascino e mondanità è alle nostre spalle, ma la ricorderemo sempre con grande piacere!