mercoledì 30 gennaio 2013

La Giӧebia...

29 – 30 - 31 Gennaio, i famosi “trii dì de la merla”

Siamo quasi a cavallo tra il solstizio invernale e l’equinozio di primavera, ed è in questo periodo che i contadini di un tempo “combattevano” il male dell’anno appena passato e propiziavano l’avvento delle forze benigne, intese come fertilità e auspicio di buoni raccolti per il nuovo anno.

Questa “battaglia” si svolgeva tramite l’accensione di una grossa catasta di legno, in modo da creare un falò di grandi  dimensioni. In questa maniera veniva bruciata la “Vecchia”, la “strìa”, la strega, facendo in modo che, come dicevo prima, le forze malefiche lasciassero il posto all’avvento di quelle del bene.

Questo rito antico prende il nome di Giӧebia (o Giubiana), e si svolgeva (e svolge tuttora) nell’ultimo giovedì del mese di Gennaio. Al giorno d’oggi è vista più che altro come momento di aggregazione, dove si fanno anche delle grosse mangiate dopo l’accensione del falò, mentre una volta la scacciata di questo “fantasma” aveva una valenza oserei dire sacrale e storica.

Il significato della parola Giӧebia deriva senza ombra di dubbio dal giorno in cui si svolge il rito, cioè giovedì, dal latino Iovis, giorno dedicato a Giove, ma vi sono in realtà molte altre ipotesi.

Di più difficile interpretazione è invece capire il perché cada nell’ultimo giovedì del mese. Molto probabilmente tale decisione risale all’epoca medievale, quando nella liturgia cristiana di giovedì viene ricordata l’ultima cena di Cristo e l’inizio della Passione.

A Gerenzano il rito della Giӧebia non è particolarmente sentito, tanto è vero che non viene festeggiato, mentre in paesi come Busto Arsizio, Gallarate e Varese si dà molta importanza a questa tradizione (essendosi sviluppata soprattutto nella Lombardia nord-occidentale).

Famosa sicuramente quello di Busto, dove una volta
i “fiò” uscivano in strada strillando a squarciagola e picchiando su coperchi e bidoni di latte in modo da far ulteriore baccano, cioè battendo "cunt' i cuercì e sü i tuluni". Questo per scacciare il freddo e il male. Nella vicina Rho i ragazzi accompagnano il rito del "bàtt i toll" con la cantilena "Foeura genè e denter febrè, su 'l gilet, foeura 'l sgischè".
Nella vecchia Busto, ogni rione o cortile costruiva la propria
Giӧebia con paglia e stracci (che poteva avere sia sembianze maschili che femminili), e venivano messe in piazza per essere bruciate. Al momento di accendere la catasta, i “fiò” eseguivano una specia di sabba, saltando e gridando “A Giӧebia – A Giӧebia”. Il fuoco veniva poi continuamente alimentato con fusti secchi di granoturco e fascine di robinie. Oppure sempre i “fiò”  infilavano dei pali nelle Giӧebie e dopo averli incendiati ingaggiavano con gli stessi delle battaglie tra ragazzi dei diversi rioni, creando ulteriore confusione nella festa. Quest’ultima proseguiva poi con una grande abbuffata a tavola, dove il piatto principale era “ul risott cunt’ a luganina”  (risotto con salsiccia, luganega), mentre i più poveri si accontentavano di un “saracù” (la saracca). A Busto, al giorno d’oggi, questa festa è sempre in voga e richiama molte persone anche dai paesi del circondario, soprattutto per gustarsi anche “ul risott cunt’ a luganina”.

Ma perché viene cucinato il risotto con la luganega? La leggenda narra che la Giӧebia fosse ghiotta di questo piatto, ed allora le donne, per ingraziarsela, cercavano di prenderla per la gola preparandoglielo.
Nel libro "Il Mistero della Giӧebia", edito dal Magistero dei bruscitti di Busto, é descritto quanto segue: "Col risotto la Giӧebia assaggia, controlla, si calma e passa via; ma se il camino non fuma e il profumo non si sente, succedono i guai. A chi tocca è un bello spavento. Le donne lo sanno e, e verso mezzanotte, son pronte con tutti gli ingredienti".
Un'altra leggenda racconta che la Giӧebia fosse una strega che abitava nei boschi di Lombardia e Piemonte, spaventando tutte le persone che "osavano" inoltrarsi nel bosco. Aveva la particolarità di andare alla ricerca di bambini da mangiare, proprio l'ultimo giovedì di gennaio. Una madre, per evitare che il figlio fosse mangiato, cercò quindi di ingannare la strìa: cucinò un pentolone di risotto con la luganega e lo mise sul davanzale. La Giӧebia, attratta dall'invitante profumo di quel piatto, lo mangiò tutto, senza accorgersi che del sorgere del sole. Sole che, essendo fatale per le streghe, fece morire la Giӧebia salvando quindi il bambino.

Rimanendo sempre nelle nostre zone, le stesse scene si vivevano nella vicina Rovellasca, dove anche qui i ragazzi, vestiti di stracci e muniti di “toll” per fare rumore, scendevano nelle strade e entravano nelle case e nei cortili per far spaventare la gente, anche se i “vecc” di un tempo dicono che era solo un pretesto per vedere le ragazze da maritare nel loro ambiente casalingo. Il tutto poi proseguiva con il classico falò “Giübianesco”.

A Saronno non vi era invece l’usanza del falò, ma più semplicemente era tradizione contadina mangiare (come per Sant’Antoni) “salamìtt e lenti”, il cui significato era il seguente: “per minga fa andà i moschitt in di oeùcc d’estàa; per vess minga mangiàa di moschitt d’està” (sta a significare che questo avrebbe allontanato i disagi degli insetti - moschini e zanzare - nella stagione estiva durante il lavoro nei campi).

Inoltre ci si riuniva nella stalla “a cuntàla sù”, ovverosia ci si trovava per scambiare quattro chiacchere. Era in voga raccontare una storia particolare, ambientata a Saronno, ma in realtà conosciuta in tutti i vari paesi dove veniva festeggiata la Giӧebia.

La storia è la seguente:

Alcune donne si diedero appuntamento in stalla per la “poscènna” (deriva da post cena). Un modo come un altro per ritrovarsi tra loro senza mariti, fidanzati e figli, dove tra un piatto di risotto e l’altro si conversava e recitava il rosario.

Gli uomini, scoperta la “riunione segreta”, decisero di fare uno scherzo alle malcapitate. Passando per la parte alta della stalla, dove era posto il fienile, aprirono l’ arbusèll (che è la botola da cui si fa scendere paglia e fieno nella stalla). Nel bel mezzo della riunione, fecero scendere dall’alto una finta gamba di paglia ricoperta da una calza rossa, e tra versi e rumori “satanici” una voce roca e tremolante diceva:

Donn, donn andée a durmì !

Gh’i giald i pée ch’i da morì !

Sa vorìi minga cred che Dio la manda,

guardée all’aria ca donda la gamba !

Oppure poteva essere anche in quest’altra versione:

Donn, donn divòtt:

andée in lecc ca l’è mezzanòcc.

San Pedar va la comanda !

Sa vorìi minga cred, guardée ‘sta gamba !

A queste parole le povere donne, terrorizzate, se la davano a gambe scappando di filata in casa, e si rinchiudevano in camera, pensando che “ul diavul” volesse prendere la loro anima…

Un’ultima annotazione sulla “poscènna”…questo rito era tradizionalmente vissuto nella città di Varese fino agli inizi / metà del ‘900, ed in realtà esisteva sia la “poscènna” per donne, sia quella per uomini (quest’ultima avveniva il penultimo giovedì di Gennaio). La versione maschile si è fermata però prima rispetto a quella femminile, che è invece durata fino alla metà degli anni ’40 dello scorso secolo. Quest’usanza varesina è stata poi tramutata con un’altra valenza negli anni successivi da parte degli innamorati locali, in quanto nel giorno della Giӧebia essi si regalano cuori di pastafrolla come pegno d’amore, mentre i più poveri disegnano sul selciato di fronte all’ingresso di casa dell’amata/o un cuore con un gessetto, spargendo a terra della cenere…

Insomma, abbiamo visto che la Giӧebia nel corso dei secoli ha assunto valori e rituali sacri, mistici, goliardici, amorosi, conviviali ed anche gastronomici.

Sicuramente al giorno d’oggi la viviamo come un momento d’allegria e d’incontro, ma alla fine penso che l’importante, in un modo o nell’altro, sia quello di continuare a tramandare le nostre tradizioni, feste popolari e culture, in modo che non vadano perse o dimenticate.

Quindi buona Giӧebia a tutti, e che il nuovo anno ci sia propizio!

venerdì 25 gennaio 2013

Adotta il verde gerenzanese !!!

Interessante iniziativa del comune di Gerenzano.
Si offre la possibilità di adottare aree verdi e provvedere alla loro manutenzione.

Faccio notare "con orgoglio" che è stato preso in considerazione un suggerimento che mio padre aveva dato tempo fa all'amministrazione, ovverosia piantare dei gelsi nelle rotonde gerenzanesi in modo da creare un "ponte" della memoria tra passato e futuro (vedi qui ). L'unico rammarico è che sia stata individuata un'unica rotonda nella quale effettuare questa piantumazione (ma presumo che dietro ci siano anche problemi "tecnici" che hanno portato a questa scelta).

Complimenti all'amministrazione comunale per questa proposta, speriamo che i gerenzanesi rispondano in maniera massiccia !!!

Vi rimando agli allegati presenti sul sito comunale, dove è illustrato il tutto.

http://www.comunegerenzano.it/public/Bando_sponsorizzazione_aiuole.pdf
http://www.comunegerenzano.it/public/Capitolato_tecnico_sponsorizzazione_verde_pubblico.pdf

Spugnole (con gnocchi)...mon amour...

Porcini ? No grazie...
Ovuli ? No grazie...
Cantharelli ? No grazie...
Tartufi ? No grazie..
E così via...

No, non sono impazzito sulle varie tipologie di funghi commestibili, ma volevo semplicemente porre in evidenza uno dei miei funghi preferiti a livello culinario: la Morchella Esculenta, conosciuta anche con il nome di spugnola !!!


Differente per forma da qualsiasi altra specie fungina, quasi misteriosa con tutte quelle cavità presenti sul suo cono, è sicuramente un fungo che non passa inosservato, pare quasi buffo.
Cresce principalmente sulle sponde sabbiose dei fiumi (in zona nostra lo ritroviamo sulle rive dell'Adda e del Ticino), oppure in boschi nei quali è presente il frassino, albero simbionte per eccellenza della spugnola. Il periodo di raccolta è quello compreso tra primavera e primissimo inizio estate, ma non è raro trovarne alcune anche in autunno.

I fungiàtt della domenica, "quei da trìi ball e nuvanta" per intenderci, scartano a priori questo fungo (e tanti altri), in quanto viene reputato di "serie B" (si sa che questi fungiàtt raccolgono solo porcini, essendo loro di "razza superiore")...o peggio ancora, neanche lo conoscono (e forse meglio così).
Io che invece mi reputo un fungiàtt da tutta settimana, e non solo quindi della domenica, che conosco ed apprezzo svariatissime tipologie di funghi, dico loro: "non sapete cosa vi perdete" !!!
Nelle zone di maggior crescita, i vècc di una volta lo definivano il "tartufo dei poveri".

Sapore deciso, forte, ma nel contempo anche delicato, con una punta di dolcezza, carne di buona consistenza. Queste sono le caratteristiche che rendono la morchella un fungo eclettico ed apprezzato in cucina, anche dai palati più esigenti.

Se avete la fortuna di trovarle, raccoglierle e consumarle fresche, buon per voi, in quanto il sapore e gusto sono migliori.
Altrimenti vi dovrete accontentare di acquistarle secche in confezioni principalmente da 30 o 50 grammi (come ho fatto io per eseguire la ricetta che poi vi descriverò). Di contro, l'acquisto di una misera confezione di spugnole secche, è sicuramente il prezzo. Questo perchè il periodo di raccolta rimane comunque molto limitato nel tempo ed in caso di annata "storta", i pochi esemplari ritrovati raggiungono costi da capogiro.

Bene, dopo avervi illustrato nel loro insieme le varie caratteristiche della morchella, passo a raccontarvi della ricetta che ho eseguito per cucinare questi funghi. Ricetta che a dire il vero ho recuperato nel web, non è farina del mio sacco, ma che dire...mi ispirava molto !!!

La ricetta è questa: SPUGNOLE e GNOCCHI...

Ingredienti per due persone:

400/500 grammi di gnocchi di patate
50 grammi di spugnole secche
40 grammi di burro
200 ml di panna
1 scalogno
sale

Procedimento

Mettete i funghi in un recipiente versando acqua calda, lasciandoli in ammollo per circa 2 ore (vedi fig. 1 e 2).

Figura 1

Figura 2

Successivamente prendete i funghi e li risciacquate sotto acqua corrente, in modo da pulirle ben bene. Le morchelle sono funghi un pò "rognosi" da pulire, perchè le loro cavità si riempiono di terra e sabbia.

In una pentola antiaderente fare soffriggere lo scalogno tritato ed il burro, dopodichè aggiungete i funghi (vedi fig. 3). Versate di tanto in tanto l'acqua dei funghi avanzata nel recipiente, preoccupandovi di filtrarla con un colino, in modo da evitare che finiscano in pentola anche i residui terrosi e sabbiosi. Far cuocere il tutto per circa 20 minuti (è importante che le spugnole sia consumate da cotte, in quanto da crude contengono tossine velenose).

Figura 3


Aggiungete poi la panna, salate a piacimento e far cuocere il tutto altri 10 minuti, in modo che la panna si rapprenda sottoforma di salsa (vedi fig. 4).

Figura 4


Mentre fate ciò, preparate la bollitura degli gnocchi (purtroppo io ho utilizzato gnocchi già preparati, l'ideale sarebbe mettersi a fare gnocchi casalinghi, ma purtroppo la mancanza di tempo non me l'ha permesso).


Una volta pronti gli gnocchi, versateli nella padella dei funghi, e rigirateli per qualche minuto (vedi fig. 5).

Figura 5


Ecco ora siamo pronti per metterli nel piatto e servirli a tavola.


Vi assicuro che sono una prelibatezza, il contrasto tra il sapore dei funghi e la dolcezza di panna e gnocchi crea un amalgama fantastico !!! Gnocchi e funghi, sorretti dalla salsa, soddisfano il palato in maniera eccelsa. E' un piatto da gustare con lentezza, assaporandone ogni singola sfumatura di sapore, anche se sinceramente la bontà dell'insieme porta a finirlo abbastanza velocemente.
Da raccoglitore e amante culinario dei funghi, posso affermare senza ombra di dubbio che le morchelle quasi quasi superano in gusto porcini e ovuli, anche se poi in realtà ogni tipologia di fungo ha la propria caratteristica che lo fa apprezzare al meglio in tavola.

Procuratevi quindi un bel sacchettino di morchelle secche, abbiate un minimo di pazienza nel pulirle, e cucinatele come sopra descritto. Godrete come pochi...!!!

P.S. con Sabri abbiamo abbinato questo piatto ad un rosso riserva dell'Oltrepò pavese, il Marc'Antonio dell'azienda Travaglino. Annata 2004, titolo alcolometrico 13,5%.
Ottenuto da un uvaggio di Cabernet Sauvignon, Barbera, Croatina e Pinot Nero, subisce un affinamento di 36 mesi, dei quali 18 in barrique e 18 in bottiglia.
Vino generoso, di buon corpo, ma anche elegante e con trama tannica fine, ha ben accompagnato il piatto, creando un buon connubio !!!

giovedì 17 gennaio 2013

Immagini da Sant'Antoni de Saronn...

Domenica mattina con Sabri ci siamo recati a visitare la fiera di Sant'Antonio a Saronno (vedi qui per saperne di più sul Santo e sulla festa).
Oltre alle innumerevoli bancarelle, la parte più interessante è stata sicuramente la ricostruzione di uno spaccato di un borgo agricolo degli inizi del '900, dove vi erano presenti svariati figuranti in costume d'epoca, davvero molto belli.
D'obbligo è stato l'acquisto dei firòn, che una volta a casa ha destato molta curiosità in Kiki e nei miei nipotini, in quanto loro non hanno mai visto queste collane di castagne.
Con rammarico ho però notato che ormai più nessuna bancarella di dolciumi vende la "tira e taca", croccante di zucchero caramellato che "divoravo" in pochi minuti quando ero piccolo io.
Bellissima poi è stata l'esecuzione del suono della campana fatto dai “fioeu del rion de Sant’Antoni”, è stato un momento molto emoziante.
Di seguito pubblico una carrellata di immagini inerenti alla manifestazione.
Foto di Sabrina Gatti (vietata la riproduzione).


Benvenuti a Sant'Antoni del purscell





La stalla - 1

La stalla - 2

Oche !!!


La mola, attrezzo principale del "mulita"


Questo non l'avevo mai visto: segnatempo con corda (quest'ultima è a destra del braccio in legno). In base se la corda è secca o bagnata, l'asta in legno si posiziona su una delle scritte...

A destra, un cardatore per la lana

Casa a ringhiera, sotto trova "spazio" una topia d'uva

L'ingresso della stalla



I firòn !!!




Si mangia !!!


Che ammucchiata !!!

Il borgo si anima...

Ossa di appestati

Statua di San Rocco

Reliquia di Sant'Antonio

L'altare della chiesetta

Trofei di caccia !!!

Si prepara il budello per i cudeghìtt...

Regiù e pancetta...

Si brinda !!!

Scopetta tra amici...

La morra !!!


Panni appesi ad asciugare

Si preparano i panini...

L'osteria del borgo

Classe 1869

Zucche colorate...

Cippo in memoria della peste del 1630...

Il pozzo di San Patrizio !!!

La chiesetta

Tutto pronto per il gioco della pignatta !!!

martedì 15 gennaio 2013

Nebbiolo del Nord: "Omaggio a Quintino Sella"...

Oggi vi parlo di un ottimo vino ottenuto principalmente da uva Nebbiolo: "Omaggio a Quintino Sella" !
La particolarità di questo vino è di essere prodotto non nella culla del Nebbiolo, ovverosia nel bellissimo scorcio di Langa piemontese che corrisponde alla zona di Barolo e Barbaresco (e dintorni), ma bensì la sua zona di produzione (e corrispondente DOC) è quella di Lessona, vicino a Biella.
Ricordiamo, infatti, che il Nebbiolo dà ottimi risultati anche fuori dalle Langhe, in zone appunto come il Nord Piemonte (Carema, Boca, Bramaterra, Ghemme e Lessona), Valle d'Aosta (dove è chiamato Picoutener), ed in Valtellina (chiamato anche Chiavennasca), dove va a creare fantastici vini come per esempio gli Sforzati oppure i Valtellina Superiore tra cui Sassella, Grumello e Inferno.

Torniamo alla nostra bottiglia: ha un nome altisonante, addirittura è un omaggio ad una determinata figura, Quintino Sella. Chi è costui ?

Quintino Sella
Vissuto nell'800, biellese, fu una figura di spicco nel mondo politico, arrivando a ricoprire anche la carica di Ministro delle Finanze. Ingegnere e membro fondatore del CAI, perorò la causa dell'unità d'Italia. Si racconta che brindò a quest'evento con una bottiglia di Nebbiolo di Lessona, ragione per cui le Tenute Sella, che è il produttore di questo vino, ha deciso di dedicargli questa particolare edizione.

Lessona DOC "Omaggio a Quintino Sella"
Annata 2004
Titolo alcolometrico 12,5%
Vitigno: Nebbiolo 85% - Vespolina 15% (provenienti dal vigneto "Rivaccia")
Età media delle viti: 50 anni
Data vendemmia: 8 Ottobre 2006
Affinamento: 48 mesi in botti in rovere di Slavonia da 25 hl
Lotto: L96/11

Nel bicchiere troviamo un colore rosso rubino scarico, tipico del Nebbiolo.
Lasciato "respirare" un poco, si è investiti dall'eleganza straordinaria di una miriade di aromi che si presentano l'uno dietro l'altro con una progressione, pulizia e nitidezza impressionanti.
L'attacco è su note speziate di tabacco, cuoio, cenere, caffè, cacao, rosmarino, alloro, e soprattutto liquirizia. Richiama poche note di frutta rossa, riconosco solo un accenno di mirtillo, per poi passare ad uno dei classici sentori floreali del Nebbiolo, la rosa.
In bocca è di una straordinaria eleganza, vira su note minerali con una grande acidità tagliente (per farvi un'idea di quest'ultima: avete presente da piccoli quando si appoggiava la lingua sulla lama del temperino per sentire la "scossa" ? Ecco la sensazione è simile).
Vengono richiamati sentori salini e ferrosi, si dimostra opulento, con una grande struttura, e tannini "corretti" nella loro aggressività. Emergono ulteriori note di caffè e cacao, il tutto amalgamato ed equilibrato in una straordinaria morbidezza al palato.
Buonissimo, un vino da mettere in cantina sicuramente e da proporre ad una cena tra amici, magari facendolo accompagnare ad un bel brasato con polenta fumante, visto il periodo invernale...!
Garantito da me che farete un figurone !

P.S. dello stesso produttore, consiglio caldamente inoltre di assaggiare il Lessona "San Sebastiano allo Zoppo" e il Bramaterra "I Porfidi", eccellenti vini anche loro...

Per chi volesse approfondire la storia della DOC Lessona, consiglio il bellissimo libro di Alberto Pattono, che trovate sul suo sito: http://www.albertopattono.it/?page=216-8