venerdì 23 dicembre 2011

Buone feste a tutti...

Un augurio di buon Natale e felice anno nuovo....


Purtroppo questo in questo periodo lo studio mi ruba tempo prezioso, e non riesco a dedicarmi come vorrei al blog...ancora qualche mese di "sofferenza", poi ci rivredemo con tante novità interessanti !!!
Ciao

venerdì 16 dicembre 2011

mercoledì 14 dicembre 2011

Non ci sono più scuse !!!

Cari Comuni, custodi dell’identità nazionale tra valli, campagne e pianure, con la reintroduzione dell’ICI, ribattezzata IMU, non ci sono più scuse per consumare suolo per incamerare gli oneri di urbanizzazione per i bilanci locali. Se quest’ora richiede coraggio, voi avete un altro appuntamento non meno importante: quello con il paesaggio di questa Italia che tutto il mondo apprezza. Tra le vostre mani avete la possibilità di fermare i consumi di suolo di un Paese che non cresce demograficamente ai ritmi delle terre edificate: siamo attorno alla pazzesca stima di 120-150 ettari al giorno. Siete voi che progettate e approvate i piani urbanistici che sono il quarto pilastro dell’ambientalismo moderno, positivo e costruttivo, strumento principale per sottrarre l’ambiente al «libero gioco» delle forze di mercato.

La tutela del suolo quale risorsa ambientale e bene comune è una priorità ed è quasi tutta nelle vostre mani. Certo, anche regioni e province hanno grosse responsabilità. Ma voi, con i vostri piani urbanistici, potreste dare una risposta cruciale per lasciare al paese e ai suoi futuri abitanti quel che rimane della bellezza delle campagne, delle colline, delle valli alpine e dei versanti a mare. Fermate i piani che state elaborando: rispedite al mittente le richieste di edificazione inutili da un punto di vista urbanistico e utili per i tornaconti finanziari che, però, lo avete toccato con mano, vi generano ulteriori spese che si scaricano sul futuro: una sorta di girone perverso. Il suolo libero che è stato urbanizzato era agricolo nel 90% dei casi.

L’urbanizzazione speculativa di questi ultimi 15 anni non ha solo degradato il nostro paesaggio come ha già ben spiegato Salvatore Settis, ma ha diminuito la nostra produzione agricola contribuendo ad aumentare la nostra dipendenza da altri mercati e dal costo dell’energia. Possiamo permettercelo? No. Dobbiamo tutelare i nostri suoli agricoli che producono il cibo più buono del mondo e insieme a tutti gli spazi aperti (i prati e le foreste italiane), ci fanno respirare e ci preservano dai danni delle alluvioni.
 Paolo Pileri - docente Politecnico di Milano

domenica 11 dicembre 2011

I scires e i pergnocc dul preost

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !

Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...



Nel 1948 a Gerenzano la fame era ancora tanta. Noi ragazzi aspettavamo i primi giorni di giugno per cominciare a saziarla con la frutta (degli altri). Uno dei giardini di Gerenzano più ricchi di piante da frutto era quello del prevosto Don Antonio Banfi.
Questo giardino era una specie di Eden: "sa cuminciava cui scires, s'andava avanti cui mugnagh, persigh, periti, brugn, per spadon, figh, pomm granàa, pomm cudogn, uga e sa finiva a nuembar cui cachi". In quanto alle fragole, beh quelle addirittura non riuscivano mai a maturare. Di tutto questo "ben di Dio" ben poco finiva sulla mensa di don Antonio Banfi tanto è vero che il giorno che la perpetua glielo fece notare gli rispose: "la fruta l'è mej che la mangian lur che i sturnej o i merli". E' chiaro che "lur" eravamo noi ragazzi.
Infatti verso la fine di maggio noi ragazzi arrivavamo in Piazza XXV Aprile con circa dieci minuti di anticipo sull'orario di apertura della scuola (l'edificio scolastico di allora è stato adibito nel frattempo a sede del Comune) e ci mettevamo a passeggiare per via G. Zaffaroni con lo sguardo rivolto verso l'albero delle ciliege, che si stagliava alto verso il cielo, per vedere se le ciliegie dei rami più alti cominciassero a maturare. Ai primi di giugno le maestre notavano in noi ragazzi una certa irrequietezza ma non riuscirono mai a capirne il motivo. Infatti l'invaiatura delle prime ciliege ci elettrizzava, ci faceva venire l'acquolina in bocca. In quei primi giorni di giugno, durante la passeggiata mattutina, le frasi che si sentivano non erano altre che di questo genere: "guarda ca la broca là me l'è caregada, no guarda l'altra la se dobia adirittura sota al pes di scires, ca la rama là la devi catàa mi" e così via. Finalmente il gran momento arrivava.  
All'uscita dalla scuola invece di andare a casa andavamo sotto il muro di cinta del giardino del prevosto. Lasciavamo le cartelle per terra: uno si appoggiava al muro, l'altro gli saliva sopra e così via. Una volta sul cornicione del muro si sollevava il compagno che aveva fatto da base. Si saltava dentro nel giardino e si ripeteva l'operazione sotto l'albero delle ciliege. Il sacrista (ul pur Giuann) lo sapeva e faceva in modo di non farsi vedere in giro verso quell'ora: l'unica sua raccomandazione era di non rompere i "griseu" altrimenti l'anno prossimo la pianta non avrebbe più fruttificato. Ma chi pensava all'anno prossimo! Era il presente che contava. Ma per non far vedere che glieli avevamo rotti, li portavamo via nascosti sotto le bluse e li abbandonavamo per le strade o nei campi, E dopo che ci eravamo saziati rifacevamo il percorso inverso.  
Gli unici frutti che "ul pur Giuann" riusciva a cogliere erano i "pomm cudogn" e questo perché, crudi, erano quasi immangiabili anche per degli affamati come noi. Egli li vendeva alle donne che li mettevano nei cassetti dove tenevano le lenzuola affinché queste si impregnassero del loro inconfondibile profumo. Allora era usanza, per i ragazzi, confessarsi una volta alla settimana. Quando raccontavamo al prevosto che avevamo rubato le ciliege, il prevosto ci diceva "eran i me chi scires lì, vera?" e noi abbassavamo la testa senza rispondere. Poi, "al pusava la reverenda man sura ul nostar co", ci assolveva e "peu su la front ci dava di pergnocch per i su scires che gh'avevum rubàa". E questa era la sua personale penitenza che ci dava. Ora di quell'eden che era il giardino del prevosto don Antonio Banfi non restano che "maregasc in pee, erba mata alta un metar e una quaj pianta da fruta”. Così va il mondo.
P.S. Per dare "ul pergnocch" si chiudeva a pugno la mano lasciando leggermente sporgente rispetto alle altre dita il dito medio ed era questo che dava il colpo.

II racconto è stato scritto nel novembre del 1983 e la fotografia all’inizio del racconto è stata scattata nel febbraio del 1984. Fino al novembre del 1983 il giardino era esattamente nelle condizioni descritte nel racconto: ora metà di esso, come risulta dalla foto, è stato ripulito dai "maregasc in pee e da l'erba mata alta un metar"), mentre l'altra metà è ancora invasa dalle erbacce. I "maregasc in pee" sono stati tritati e lasciati sul terreno dove sono ancora visibili.

domenica 27 novembre 2011

Un'interessante serata di storia gerenzanese...

Venerdì 25, si è svolto presso l'auditorium un incontro organizzato dal Comitato Gerenzano 150° su 2 temi dedicati al nostro paese: la presenza di chiese, oratori e cappelle scomparse in Gerenzano, ed i corsi d'acqua presenti nel nostro comune.
La prima parte, quella dedicata ai luoghi di culto dimenticati, è stata presentata da Mauro Ghirimoldi. Devo dire che Mauro ha illustrato in maniera semplice ed efficace l'argomento proposto, facendolo risultare molto interessante. Abbiamo quindi scoperto dalla sua ricerca che a Gerenzano esistevano, pur se in epoche diverse, fino a 7 chiese, oltre a svariate cappelle ed oratori. Di alcune è riuscito a risalire o ipotizzare la collocazione sul territorio gerenzanese, di altre purtroppo non si ha idea di dove fossero. Nei secoli queste chiese e cappelle sono state distrutte o abbandonate, e le rovine venivano rivendute per restaurare la chiesa principale (la nostra ancor attuale San Pietro e Paolo). Questo per far capire la povertà che c'era a quel tempo. Inoltre Mauro mi ha fatto scoprire una cosa che non sapevo assolutamente: fino alla metà/fine del '700 (se ricordo bene la data), il cimitero di Gerenzano era in piazza della chiesa, per capirci più o meno dove c'è ora la cooperativa, il Despar ed il Rino macellaio. Parlando poi con mio padre, mi ha detto che in tutti i paesi a quel tempo il cimitero era prassi comune che si trovasse subito a ridosso delle chiese. Poi con il passare del tempo, i cimiteri sono stati spostati verso le periferie dei paesi. Ci sarebbe un'aneddoto da raccontare sul cimitero in piazza a Gerenzano, ma ho promesso alla persona che me lo ha detto di non renderlo pubblico (e mi fermo qui, perchè ho già parlato troppo).
La seconda parte della serata si è invece incentrata sui corsi d'acqua gerenzanesi. Il relatore è stato Paolo Zaffaroni, giovanissimo presidente dell'Associazione Culturale Il Gelso. Ha illustrato con l'ausilio di cartine topografiche ed immagini i corsi  d'acqua di Gerenzano, dal Bozzente (e Bozzentino), ai fontanili, e le rogge minori. Sapevate che anche in via Berra (la via della posta) vi era in fontanile ? Si congiungeva con il corso del fontanile del Bettolino all'altezza della fine di via XX Settembre. Poi vi erano altri corsi d'acqua all'interno del paese ed all'esterno. E' stato proposto il vecchio corso del Bozzentino (corso che in alcuni punti è ancora visibile), ed inoltre Paolo ci ha regalato una bellissima sorpresa: un'intervista ad una gerenzanese DOC classe 1932, residente al Laghetto, che ci ha raccontato le vicende del Laghetto (e anche sue), fino alla scomparsa di quest'ultimo. E' sempre affascinante ed emozionante ascoltare queste persone che raccontano la vita che fu ! La signora ha raccontato di quando sposandosi, si è trasferita ad abitare al Laghetto, che a quei tempi (1953) era staccato ed isolato dal paese (pensate un pò oggi come si è invece espansa l'area abitata fino a conglobare ed addirittura oltrepassare questa area). Ci ha raccontato che il marito pescava gli spinoni in quella "cava" (o scarduni come ha fatto notare mio padre), i ragazzi ci facevano il bagno, al centro c'era un isolotto ricoperto di robinie, come d'altronde lo era tutta la circonferenza del Laghetto. Il Laghetto era alimentato da una delle rogge che arrivavano dal paese, l'acqua aveva un ingresso ed un'uscita, quindi vi era sempre un ricambio, cosa che rendeva l'acqua del Laghetto pulita. Inoltre ha raccontato che da piccola si giocava nel greto del Bozzentino, con tutti gli altri bambini.
E' stata una bellissima testimonianza, ed è importante raccogliere le parole dei nostar vecc, perchè tramandano la nostra storia, le nostre tradizione, il nostro sapere !
Gerenzano sorge praticamente sull'acqua: è noto (ed è emerso anche durante la serata), che più di una volta scavando per costruire le fondamenta di case ci si è trovato contro l'esistenza di sorgive. Le fondamenta di alcune case, come ha raccontato mio padre, poggiano su numerosi pali. Chi ha seguito i lavori di costruzione dell'ecomostro in stazione, avrà notato che c'erano sempre in azione delle pompe che drenavano continuamente il terreno, scaricando l'acqua in fognatura (non invidio quindi chi ha acquistato casa lì). Per i gerenzanesi "puri", è noto che in quel punto vi è la presenza di una falda acquifera. Nel corso degli anni ha allagato svariate volte i palazzoni all'ingresso di via San Giuseppe, e nel retro di casa mia (posta in quella zona), vi è ancora presente un pozzo da dove i miei nonni e bisnonni attingevano l'acqua. Ora il pozzo è stato chiuso, ma mi piacerebbe provare a riaprirlo per vedere se c'è ancora presenza di acqua (anche se temo che con la costruzione dell'ecomostro ed il futuro sottopasso per Turate, l'acqua non riesca più a raggiungere il mio pozzo).
In conclusione, è stata davvero una bella serata, soprattutto per me, visto che queste cose mi affascinano sempre. Complimenti quindi al Comitato del 150° di Gerenzano, a Mauro Ghirimoldi ed ai ragazzi de Il Gelso per la passione, l'impegno e la caparbietà con cui ci regalano questi spicchi di storia gerenzanese piacevolissimi !
Alla prossima !

P.S. - Note negative a margine della serata:
  1. L'assenza delle istituzioni gerenzanesi (e si che i temi riguardavano il paese da loro governato). Ennesima prova di menefreghismo verso appuntamenti da loro non organizzati.
  2. L'assenza di miei coetanei o giù di lì. C'era un buon pubblico, ma quasi tutti erano molto grandi. Della mia generazione non c'era nessuno...peccato !
Ed alla fine, nell'accomiatarsi tra mio padre ed altre persone è rispuntata fuori una parola in dialetto che avevo già sentito in un'altra occasione: la BURZELA...(o BRUSELA nella versione turatese)...ma di questo parleremo prossimamente !

domenica 20 novembre 2011

Scozia...

Scozia…..terra di castelli incantati e distese di erica….
Quello che colpisce della Scozia è il silenzio interrotto dal suono del vento che porta a tratti la musica struggente ma affascinante di qualche suonatore di cornamuse.
Questa è l’emozione che è rimasta nel nostro intimo al ritorno dal viaggio che quest'estate ho fatto insieme alla mia compagna e sua figlia.
Sono partito scettico riguardo a questa meta e non so dire neanche io perché questo paese non mi incuriosisse più di tanto….ma, ho dovuto ricredermi da subito, solo un paio d'ore dopo aver calcato il suolo scozzese.
Siamo arrivati il 15 agosto verso le 20,00 e nuvole grigie e a tratti minacciose ci hanno accolto. Raggiunta la down town a bordo dell’autobus che collega l’aeroporto al centro della città, una volta scesi a Waverley Bridge, un magnifico tramonto illuminava di un rosa carico il monumento a Sir Walter Scott.
Da li decidiamo di raggiungere il nostro primo B&B a bordo di un taxi. Attraversiamo il centro, il Royal Mile, Victoria Street, piazze animate da gioventù scozzese e non, abbigliate in colorati kilt.
L’autista ci chiede di dove siamo e se era la nostra prima volta in Scozia.
Gli spieghiamo che siamo italiani e che è si, la prima volta, e che iniziamo con una due giorni ad Edimburgo la nostra avventura.
Lesto prende carta e penna e ci suggerisce i luoghi più interessanti da visitare e pianifica in 5 minuti il nostro giro di 15 gg.
E dire che avevamo letto che gli scozzesi erano "burberi" e fatti alla loro maniera !!!
Noi abbiamo trovato gentilezza, disponibilità, cortesia, ovunque si sia andati.
Della capitale abbiamo visitato i luoghi simbolo: il castello, il palazzo della Regina che fu la residenza di Mary Stuart ora sua residenza ufficiale quando è in visita alla città, Princess Street, i sotterranei di questa città definita magica ed esoterica, siamo saliti e scesi da "closes" nascosti che ci raccontavano com’era vivere in questo gioiello, patrimonio dell’umanità. Edimburgo, si accende d’oro al tramonto, i tetti delle case assumono colorazioni inaspettate, di primo acchitto ti sembra grigia, spettrale, eppure ti cattura, ti affascina. E’ giovane e assolutamente a misura d’uomo anche se il traffico pure lì non manca, ma il servizio pubblico è organizzato bene e molto efficiente.
Tra le nostre mete, oltre alla misteriosa cappella di Rosslyn - legata alla storia dei templari - la più particolare (anch’essa ricca di storia ma moderna) è la visita al Royal Yatch. Abbiamo immaginato di solcare mari e raggiungere mete da sogno come ha fatto Sua Maestà a bordo del "Britannia" e per un attimo abbiamo provato a "vivere come lei" sedendoci a sorseggiare the e mangiare uno scones con burro e marmellata sul ponte più alto della nave. Eh si, proprio una nave, perché il Britannia, con i suoi 126 metri di lunghezza dipinto di un blu mare scuro e una fascia in oro zecchino che la percorre tutta, è un palazzo galleggiante dotato di qualsiasi comfort e con addirittura a bordo una Rolls Royce.
Dopo un paio di giorni salutiamo Edimburgo ed andiamo a ritirare la nostra vettura a noleggio. Cominciamo il nostro viaggio che ci avrebbe portato a toccare le mete classiche di questo paese.
Abbiamo iniziato con Stirling, patria di William Wallace, ed il suo castello, abbiamo proseguito verso St Andrews piccolo borgo medioevale, patria del gioco del golf e di una delle università più antiche.
Una scoperta St Andrews, poco citata nei vari racconti di viaggio che si possono leggere in internet ma anche lei oltremodo affascinante.
Dopo vari giri per cercare una sistemazione per la notte, (per coinvolgere Kiki, la figlia della mia compagna, nelle ricerche delle casette come lei le chiamava, le avevamo detto che doveva cercare i cartelli con scritto B&B VACANCIES) - troviamo un cottage immerso nei fiori, nascosto da un muro impenetrabile costruito con spessi mattoni grigi e classiche finestre a quadrotti.
Era la casa di Mrs Margareth, nota fotografa, di una gentilezza squisita e modi di tempi passati.
Ci indica dove andare a mangiare, ed al mattino seguente ci suggerisce di andare sulla spiaggia.
Che MERAVIGLIA, siamo sul Mare del Nord, un' incredibile bassa marea ci accoglie, la luce del sole che nasceva faceva brillare di riflessi argentei la sabbia, scoprendo granchietti e conchiglie gioia di gioco per la piccola Kiki.
Dopo un’intera mattinata passata in spiaggia e un giro veloce alle rovine dell’abbazia, prendiamo la nostra vettura e ci dirigiamo a nord, vediamo campi di grano dorato che finiscono a picco su scogliere di terra rossa, distese di prati, animali liberi al pascolo, approdiamo a vedere castelli arroccati che hanno fatto da scenario a celebri film.
I paesaggi sono vari, alterniamo distese di grano a pascoli di pecore, mucche e cavalli, ci addentriamo in foreste dense di abeti, ruscelli e fiumi agitati carichi d’acqua, nell’aria i profumi sono diversi, resina di pino, odore di acqua, terra, e poi malto e orzo tostato, e kilometro dopo kilometro arriviamo alle zone delle distillerie….un paese dopo l’altro è caratterizzato da enormi alambicchi per la distillazione del whisky.
La Scozia ci rapisce e ci affascina, il tempo è clemente e regala giornate soleggiate miste a grandi nuvoloni minacciosi.
Il nostro viaggio continua fino a toccare di nuovo la costa. E' sera ma la luce all’orizzonte è ancora chiara, indichiamo a Kiki che là, dove la luce è chiara, sempre dritto si arriva al paese di Babbo Natale. Siamo a nord, molto a nord.
Nel silenzio sentiamo la nostra prima cornamusa, questo lamento struggente ci chiama a sé, seguiamo la musica e ad un tratto mille luci accendono il cielo di un blu indefinito. Dieci, venti,trenta lanterne salgono al cielo, lo spettacolo è da brivido, un’emozione ci coglie e come bambini stupiti ascoltiamo e guardiamo quello che accade.
Andiamo a letto, con negl’occhi quell’immagine, con quel suono che ci gira nella testa, pronti a passare un’altra notte in un’altra casa….
I giorni successivi ci portano a visitare, castelli realmente abitati, soggiorneremo in moderne fattorie assaggiando haggies e frittelle di patate e marmellate fatte in casa, andremo alla scoperta del mostro di Lochness, e vedremo passare sopra le nostre teste due caccia della RAF che ci faranno tremare le ginocchia. Andremo a Kyle of Lochalsh e vedremo il castello dove è stato girato il film Highlander, e ci spingeremo fino ad ovest sull'isola di Skye, non prima però di aver attraversato le famose e mitiche Highlands.
Montagne violacee, punteggiate solo di erica, dove nient'altro oltre a questo e al cielo riempie i nostri occhi.
Colori, profumi, flora fauna, di giorno in giorno cambiano, un giorno stiamo attenti a vedere se avvistiamo i delfini, un altro ancora cuccioli di foca dallo sguardo triste ci osservano sdraiati su rocce a pelo d'acqua, un altro momento incontriamo le famose mucche con le corna ed il pelo lungo.
Pecore placide ci attraversano la strada o ai margini della stessa ci guardano serafiche mentre le fotografiamo.
Troppo lungo diverrebbe questo racconto se dovessi fermarmi a particolareggiare su tutto...
Lascio quindi spazio alle immagini che anche loro insieme alle mie parole sapranno raccontare quanto ho nel cuore.
See you soon scotlaland!

  


  

     


  


  
 
                                                  

  

   



  


  
 
                                                   
 
                                 


  

   
  
                          

giovedì 17 novembre 2011

Trattavano meglio le bestie...

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !

Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...


Intervista a un ragazzo di Gerenzano di tanti anni fa

All'inizio della seconda guerra mondiale avevo 12 anni.
In famiglia eravamo in nove, i fratelli maggiori erano in guerra, dovevo perciò aiutare il papà nel lavoro dei campi.
Non posso dire che i miei genitori non mi volessero bene, specialmente mia mamma, a loro modo mi volevano certamente bene ma era indubbio che dedicavano maggiori cure alle bestie.
Di campi ne avevamo tanti e quando c'era da arare erano dolori: mio papà "portava" i cavalli e io avevo in ma no la "sciloria".
Cari ragazzi di oggi dovreste sapere cosa vuol dire avere in mano la "sciloria". Bisognava tenerla ben affondata nel terreno (e per far questo ci voleva una gran forza) e ogni volta che si iniziava o si finiva il solco bisognava sollevarla (peso 75 kg.). Le mie spalle erano esili eppure dovevo fare questo "esercizio" almeno 600 volte in un giorno.
E la mia dieta non era certamente ricca come la vostra. Eccola: caffè latte al mattino, minestra a mezzogiorno e minestra alla sera. La mia giornata lavorativa col passare degli anni era sempre di 14 ore come minimo. Quando ritornavo dal lavoro c'era sempre qualcosa da fare: caregàa ul rud su la careta, impienì la bonza da pisa, purtà à cà i maregascieu, strapàa i patati etc. etc., tutti lavori che richiedevano una forza fisica non indifferente. Si può dire che la fatica fisica era il mio pane quotidiano.

D.      
"Ma alla domenica ti potevi riposare, no?"
R.        Che cosa ? Tanto per dirne una devi sapere che i "regiù" di Gerenzano avevano l'accortezza di tagliare il fieno al giovedì in modo da poterlo portare a casa la domenica perché alla domenica tutta la famiglia era presente (anche i piccoli che andavano a scuola) e si finiva tardi. Ecco sì verso le otto di sera ero libero ma chi aveva voglia di uscire con tutta quella stanchezza addosso ? Avevo solo voglia di dormire.
D.       "Hai detto prima che la tua dieta era povera ma come componente di una famiglia contadina avrai pure avuto a disposizione, che so, delle uova?
R.        Vedi le uova le vendevano o le davano alle bestie. E’ vero che qualche uovo riuscivo a farlo sparire dal pollaio e che mia mamma qualche volta mi faceva la "rusumada", ma la maggior parte era venduta o data, quando c'era, al "buscin".
D.       "Uova date al "buscin" questa è nuova non l'avevo mai sentita".
R.        Vedi la storia degli animali allevati in modo non naturale esisteva già a quei tempi. Qualche anno fa c’è stata la storia dei vitelli ingrassati con estrogeni per farli aumentare di peso in fretta, allora la cosa era più "casereccia", al vitello di latte non veniva dato solo latte come sarebbe stato naturale che venisse fatto ma veniva dato anche un "pastone" formato da latte, uova e pane raffermo, per far sì che ingrassasse in fretta. Ma al macellaio esperto questo fatto non sfuggiva: bastava che guardasse gli occhi del vitello per capire il trucco. Il vitello allevato in questo modo aveva gli occhi più rosati di quello allevato solo a latte e la carne era più fibrosa.
Quando c'era il vitello mio padre comperava dei sacchi di pane raffermo da dare alla mucca quando a questa cominciava a scarseggiare il latte. Era un pane durissimo, eppure noi fratelli cercavamo di rubarlo per poterci saziare un pochino. Da queste frasi avrai capito che avevamo fame eppure i nostri genitori si guardavano bene dal comperare una maggiore quantità di pane per saziarci, dovevamo accontentarci di quello che c’era, ma per la mucca non esitavano un attimo a comprarlo (sia pure raffermo).
D.       "Senti, non ho mai capito perché i "maregasc" dovevano essere estirpati con le radici invece che tagliati alla base con la zappa (sai, da "bambino, avevo aiutato anch'io i contadini a battere le radici dei "maregasc" con un bastone corto per liberarli dalla terra che vi era rimasta attaccata)".
R.        Il motivo è semplicissimo: se i "maregasc" venivano tagliti con la zappa e lo stelo fosse stato ancora verde attorno alle radici, la parte che rimaneva nel terreno diventava più pericolosa di una lama di coltello e se per caso durante l'aratura lo zoccolo di un cavallo vi finiva sopra erano dolori: il contadino doveva sospendere l'aratura per dieci - quindici giorni finché la ferita non si fosse rimarginata. Se invece ci finivo io su quella tagliola non succedeva niente anche se il taglio fosse stato lungo e profondo, l'importante era che non si facesse male il cavallo.
D.       "E' vero che c'era la stasi invernale?"
R.        E' vero, però nel periodo invernale si doveva fare il lavoro che più aborrivo: quello di liberare i campi di frumento dai sassi. Le piogge invernali li avevano dilavati e fatti venire in superficie. In gennaio mi mandavano nei campi di frumento con la "sidela" e, dopo aver smosso i sassi col tacco, (perché erano gelati) dovevo raccoglierli e riporli nella "sidela" e depositarli all'inizio o alla fine del campo. Dopo, sarebbe passato mio padre con la "careta", li avrebbe caricati e portati alla cava. Perché non volevo fare questo lavoro ? Ma perché i sassi erano coperti di brina e, dopo averne raccolti un po', avevo le dita delle mani gelate. Ecco perché io non voglio più saperne della terra, la terra per me è stata una matrigna "ma da quj gramm", a Gerenzano dicono che "la terà l'è bassa" ed io ho sperimentato personalmente la verità di questo detto.
Ormai sono in pensione, i miei genitori sono morti e della loro eredità mi son tenuto solo il bosco (la terra no, quella l'ho venduta subito e col ricavato mi sono costruito la casetta) perché nel bosco mi piace andarci e perché vi facevo uno dei lavori che preferivo: il diradamento dei rami di pino. Salivo su un pino, tagliavo i rami più bassi, poi mi arrampicavo su quelli superiori, facevo dondolare la cima per avvicinarmi al pino più prossimo e vi saltavo su ripetendo l'operazione di diradamento e di dondolamento e così via per tutta la giornata. La terra, come avrai capito, non voglio più coltivarla, nemmeno per hobby: guarda quella che circonda la mia casetta, l’ho sistemata a prato all'inglese proprio per faticarci il meno possibile, perché io sono uno di quelli che sulla terra ha lasciato sudore, lacrime e, soprattutto, la gioventù. Alla larga dalla terra.


mercoledì 9 novembre 2011

L'ingloriosa fine della zucca incastrata nella cinta...

Mi sa che la troppa pubblicità fatta da La Settimana di Saronno ha attratto qualche morto di fame (per non dire altro)...
La zucca incastrata nella cinta è stata miseramente tagliata e rubata...che vergogna...!!!

Com'era...



Com'è...