venerdì 27 giugno 2014

Tradizioni gerenzanesi: "la barca da San Pedar"...

Come tutti sappiamo, il 29 giugno cade la ricorrenza della festa di San Pietro e Paolo.
Legata a questa data e a San Pietro, nelle tradizioni gerenzanesi (e più in generale del nord Italia), vi è quella di preparare "la barca da San Pedar".

Le righe che seguono sono un estratto dal libro di mio padre "Rimembranze gerenzanesi" risalente al 1984, dove si parla appunto di questa cosa, in riferimento agli anni della sua gioventù.

"Dovevamo portare entro le otto ed entro le sedici la "ramina" o la "schisceta" contenente la colazione o la cena per le nostre mamme e sorelle che lavoravano alla SEDA, N.IV.E.A., e CUTON.
Noi ragazzi avevamo tante incombenze.
Oltre a quella a cui ho già accennato sopra, ve ne voglio illustrare altre due:
quella di portare per le stradine di campagna "i occh e i pulitt" a mangiare tenendoli a bada con un bastone e quella di preparare il fiasco per la "barca da San Pedar". La sera del 28 giugno mettevamo un fiasco riempito d'acqua alla quale poi era stato aggiunto l'albume di un uovo nell’orto di casa. Se il tempo era sereno e se c’era la rugiada, al mattino del giorno 29 (cioè a san Pietro) i filamenti dell'albume avrebbero formato una specie di barca, "la barca da san Pedar". Prima del sorgere del sole gli orti si animavano: lascio al lettore immaginare l'esultanza o la delusione in caso di riuscita o meno dell'esperimento".


Si tratta di una vecchissima tradizione contadina, da cui si traevano conclusioni sul tempo a venire, raccolti futuri e fortuna o disgrazie.

Ho parlato quindi con mia madre in questi giorni, per vedere se ricorda questa usanza.
Mi ha confermato che la faceva anche lei a casa sua a Turate, e che l'ha vista fare fino a metà degli anni settanta alla madre di mio padre, la quale teneva molto a questo rito.
Gli ho chiesto quindi come si eseguiva.

Tre sono i parametri per la buona riuscita della barca:
  • Utilizzare un fiasco di vetro chiaro, tipo quello del Chianti per intenderci, a cui va tolto il rivestimento di paglia esterno (ndr - in realtà, questa particolare tipologia di bottiglia serve soprattutto come elemento scenografico, anche se a quei tempi era chiaramente tra le più diffuse)
  • Come scritto da mio padre e confermato anche da lei, bisogna sperare che ci sia bel tempo, e che durante la notte scenda la rugiada
  • Deve essere fatta esclusivamente la notte del 28 giugno. Questo perché la credenza contadina diceva che fatta un altro giorno, avrebbe portato scarogna per tutto l'anno...
Il procedimento per eseguirla è semplicissimo. Come sopra descritto, in un fiasco si mettono acqua e l'albume di un uovo. Il tutto va poi deposto orizzontalmente all'aperto durante la tarda serata del 28 (avendo cura di non rovesciare il contenuto, quindi l'acqua non deve superare la parte tonda del fiasco). Sul fatto di deporre la bottiglia in maniera orizzontale, mia madre non ricorda però bene, perché forse la si deve porre verticalmente, per permettere una maggior affluenza di rugiada all'interno del contenitore (eventualmente fatene due, una in orizzontale e una in verticale, così noterete le eventuali differenze).
Di buon'ora il mattino dopo si corre a vedere il risultato. Se le condizioni meteo sono state favorevoli, vedrete che nel vostro fiasco l'albume dell'uovo avrà formato una specie di veliero (chiaramente bisogna aggiungere un po' di fantasia nel vederlo).

Se le vele del veliero sono ben aperte, si avrà bel tempo, i raccolti nei campi saranno abbondanti, e addirittura si vociferava che le novelle spose avrebbero avuto a breve figli e le donne zitelle si sarebbero potute anche loro maritare.
Se le vele sono invece chiuse, si prevede pioggia, raccolti scarsi e sfortuna in generale.

Alla barca si danno anche altre interpretazioni: è chiamata "barca da San Pedar" perché in essa si vede l'apostolo Pietro il quale era un pescatore, oppure perché è l'imbarcazione da lui usata per liberare la madre dall'inferno e portarla in cielo (gli eventuali temporali che si scatenano nella giornata del 29 giugno, sono attribuiti a questa donna che sfoga così la sua rabbia)...

Principalmente però, questo rito propiziatorio è da ricondursi soprattutto alla festività del solstizio d'estate, ovverosia il 21 giugno, data molto importante per i cicli agricoli su cui si basavano i vecchi contadini.

Ma le leggende legate alla notte tra il 28 e il 29 giugno raccontano che tutto ciò che accade in questo lasso di tempo sia magico...proviamo anche noi a verificare se ciò sia vero, iniziando a vedere se accade il miracolo della "barca da San Pedar" (tempo permettendo, in quanto le previsioni meteo non sono incoraggianti)...

Posterò poi successivamente le foto della mia barca...

Aggiornamento del 29 giugno: "barca da San Pedar" fatta !
Insomma il risultato non è stato il massimo, probabilmente ha influito anche il maltempo...non ho utilizzato il fiaschetto classico ma un "fiascone" che avevo già in casa...
Ecco le foto.

 
 
 
Ho poi provato a lasciare il tutto ancora fino alle ore 18.00 del 29: qualcosa di più definito si è formato...

 

Ritenterò l'esperimento l'anno prossimo, anche perché la tradizione va portata avanti !

giovedì 26 giugno 2014

L'Aureus di Nicola Ferri...

Puglia, terra di mare, sole, arte, storia e grandi tradizioni agricole ed enogastronomiche...

Sono questi i punti di partenza di Nicola Ferri, deus ex machina dell'omonima azienda Cantine Ferri, presente sul territorio da ben quasi un secolo. La famiglia Ferri tramanda il proprio sapere trasformandolo in vini d'eccellenza, ottenuti dalle classiche uve autoctone locali, quali il Bombino nero e bianco, Primitivo e Nero di Troia. Ma l'azienda ha ampliato i propri orizzonti "sperimentando" la coltivazione anche su vitigni internazionali, come per esempio Chardonnay e Cabernet Sauvignon.

Ho scoperto questa cantina per puro caso, leggendone commenti entusiastici tra i meandri di un noto forum "enologico"...e così ho provveduto a ordinare direttamente a Nicola qualche cartone dei suoi vini. Mi preme innanzitutto dire che Nicola Ferri, pur non avendolo mai conosciuto di persona, è estremamente squisito e gentile. Condizioni accertate negli scambi di mail, dove addirittura si è prodigato più volte a invitarmi ad andare a trovarlo sia in occasione del Vinitaly di quest'anno, sia in Puglia da lui. Purtroppo entrambe le cose non sono state realizzate, ma non escludo che nell'eventualità di una futura vacanza pugliese, non possa cogliere l'occasione di andare a trovarlo e conoscerlo.

Tre i vini acquistati da lui: "L'Aureus", "Oblivio" e "Memor".

Oggi nello specifico voglio parlarvi dell'Aureus, ottenuto dal vitigno Chardonnay.

L'Aureus IGT Puglia
Vitigno: Chardonnay
Titolo alcolometrico: 14%
Annata: 2009
Lotto: L 11.351
Produttore: Cantine Ferri

Dai dati presenti in etichetta, il produttore dichiara un affinamento in piccole botti di rovere, consigliando di abbinarlo a pesce, frutti di mare e formaggi poco stagionati.

Appena versato nel bicchiere, rimango quasi "abbagliato": un colore giallo dorato che sprigiona una lucentezza impressionante, mette in risalto la cristallinità del vino.
Un profumo intensissimo di vaniglia colpisce subito, ricollegandoci al passaggio in legno subito, per poi aprirsi su frutti come pompelmo, limone, pesca gialla, litchi, frutta secca e candita. Un richiamo a more di gelso bianche e camomilla chiudono l'ampio spettro olfattivo, non prima, però, di regalare uno sbuffo finale di note iodate, mentolate...

Il vigore e pulizia dell'attacco in bocca è stupefacente: dritto, con un'acidità filante, tagliente ma ben supportata dalla morbidezza alcolica e da una grande struttura, regala sorsi di autentica goduria. Il 14% del titolo alcolometrico, che all'inizio può anche spaventare, in realtà è assolutamente impercettibile, ben mascherato da un equilibrio generale davvero eccellente.
Chiusura in bocca di grande spessore, con una persistenza interminabile, dove ancora sono richiamati sentori di vaniglia e frutta a polpa gialla.

Ma cosa abbinare a questo vino ? Anche se il buon Nicola suggerisce pesce e formaggi giovani, io percorro strade alternative.
L'orto di casa in questo periodo regala dei sublimi fiori di zucca. Ed ecco che quindi arriva una delle ricette di punta di casa Carnelli: i fiori di zucca ripieni !!!

La preparazione è molto semplice, in realtà si perde solo un poco di tempo nel riempire i fiori con il relativo composto.

Ingredienti:

  • una ventina di fiori di zucca
  • la mollica di un panino
  • pan grattato
  • 100 g di prosciutto cotto
  • 50 g di porcini secchi
  • sale e pepe
  • 2 uova
  • 1 mozzarella
  • latte
  • una spolverata di parmigiano reggiano

Preparazione

Si fanno rinvenire i funghi in acqua calda per circa un'ora, mentre in un'altra ciotola mettete la mollica del pane a bagno nel latte. Nel frattempo lavate i fiori, togliendogli il pistillo e tagliando la parte del gambo. Il fiore deve essere quindi aperto a entrambe le estremità.
Rigorosamente a coltello, taglio in maniera fine il prosciutto, i funghi (ben scolati dall'acqua) e la mozzarella. Verso quindi il tutto in un recipiente, a cui aggiungo sale e pepe, oltre al parmigiano reggiano e alla mollica ben strizzata. Rimescolo energicamente, ottenendo un composto ben amalgamato.
Ora arriva la parte più "complicata": farcire i fiori. Dall'apertura lasciata dall'assenza del gambo, con pazienza inserisco con l'aiuto di un piccolo cucchiaino il mio ripieno, fino a "gonfiare" del tutto ogni singolo fiore. A questo punto, in una fondina sbatto con l'aiuto di una forchetta le due uova, con un pizzico di sale e pepe. Immergo a turno i fiori, per poi ricoprirli di pan grattato.
Ed ecco la fase finale: la frittura. Portato a temperatura l'olio in una padella ben capiente, cuocio i fiori, premurandomi di rigirarli spesso. Una volta raggiunta una consistente doratura e croccantezza (mi raccomando, non fateli bruciare), i fiori sono pronti per essere portati in tavola.

Vi posso garantire che sono squisiti, difficilmente troverete una ricetta più gustosa per la frittura dei fiori di zucca. Croccanti ma allo stesso tempo morbidi, dove spicca in modo particolare il gusto deciso dei porcini e del parmigiano, ma anche la delicatezza di prosciutto cotto e mozzarella, hanno ben sposato la nostra bottiglia di "L'Aureus", che ha supportato il tutto con una grande freschezza e sapidità.
Sulla tavola hanno trovato poi anche posto prosciutto di San Daniele, melone e lo stupefacente Parmigiano Reggiano 36 mesi della Latteria Vo Grande.

Nelle foto troverete in successione le fasi salienti della preparazione dei fiori di zucca !

La materia prima
 

Lavati e messi ad asciugare
 
Il "ripieno"
 
Fiori di zucca pronti per la padella
 
Parte posteriore...
 
Crudo di San Daniele e melone
 
La tavola imbandita...
 

Gli attori protagonisti: Aureus e fiori ripieni...
  
Parmigiano, Aureus, Londra, Parigi, Milano...
 
Il primattore...

venerdì 20 giugno 2014

I primi raccolti dall'orto e l'intruso dello stagno...

Lo scorso maggio avevo proposto qui una carrellata di foto riguardanti il mio orto. A distanza di circa un mese, dopo aver mangiato già in abbondanza lattughe e cicorie, e dal frutteto ciliegie e fragole, ecco le primizie d'inizio estate...


 
Le melanzane di tipo lungo sono state le prime a svilupparsi, a ruota ora stanno crescendo quelle striate viola e le classiche tonde...nel cesto sono presenti anche zucchine "nere di Milano" e zucchine striate. In primo piano i primi esemplari di albicocca "Errani" (antica varietà di questa tipologia di frutto) e le prugne "Goccia d'oro". Quest'ultime provengono da una pianta vecchissima, presente nel mio frutteto da almeno cinquant'anni.
 
 
Nell'inquadratura entrano di prepotenza i fiori di zucca fritti...una bontà incommensurabile...quest'anno ne sto raccogliendo davvero tanti quest'anno...
 

 
Albicocche e prugne

 
Ecco i fiori...
 
 
Fragole, lamponi e mirtilli...
 



Squisitezza d'altri tempi...coste con uova...sublime...
 
E per finire, un intruso nello stagno, un bellissimo esemplare di rospo Smeraldino...
 
 
 
 
E' ormai da circa 4 anni che a partire da fine maggio il mio stagno diventa la "casa" di svariati esemplari di questo rospo. Finora erano quasi tutti piccolini, mentre questo è davvero grande, imponente...sulla pelle presenta chiazze di un colore smeraldo acceso (da cui prende il nome), ed ha un'agilità pazzesca...nuota velocissima e fa dei salti lunghissimi...Kiki e i miei nipoti ne sono rimasti meravigliati alla sua vista, l'hanno accudito per tutto un pomeriggio, addirittura gli hanno fatto un ombrellone di foglie, dove lui può ripararsi dal sole. Vista la sua mole, il simpatico rospo è stato ribattezzato Ciccio.
Ma Ciccio non è l'unico abitante dello stagno. Circa due settimane fa, gli operai addetti alla bonifica dell'ex Nivea in via Rovello, mentre prosciugavano una pozza d'acqua, hanno trovato una tartaruga dalle orecchie gialle, dalle dimensioni di circa 10 cm. Donata a un mio amico che abita lì di fronte, a sua volta l'ha portata a me, vista la presenza di uno stagno a casa mia, mentre lui non aveva la possibilità di tenerla...
I bambini l'hanno ribattezzata Tarta...è bella a vedersi, un poco timida (appena vede qualcuno si rifugia sott'acqua). Ha divorato tutti gli insetti presenti o caduti nello stagno, è golosa di lattuga, ma ora devo provare a variargli un po' la tipologia di cibo. Non sono sicuro che la convivenza tra Tarta e Ciccio sia ottimale (la tartaruga è ghiotta di girini e anfibi in generale), ma finora non ci sono stati problemi. Nel frattempo, sparsasi la voce, casa mia è stata presa d'assalto da vicini e soprattutto bambini che vogliono vedere questi animali, altrimenti non molto comuni da incontrare (soprattutto per le ultime generazioni). Infatti, nel libro di mio padre, prossimo alla messa in stampa, egli stesso ricordo che il famoso "laghett" di Gerenzano era pieno di rospi e rane, soprannominati "butaran"...purtroppo l'uso di concimi, pesticidi e soprattutto l'eliminazione di aree verdi e paludose ha portato a una diminizione di questi anfibi...ragione per cui tengo in modo particolare al mio piccolo stagno, che può essere un luogo di ricovero e habitat ideale per queste specie... 

giovedì 12 giugno 2014

Parmigiano reggiano, lambrusco e riso: una giornata nella campagna mantovana…

Sabato scorso con Sabrina abbiamo partecipato all’annuale gita sociale dell’Associazione I Buoni Frutti, di cui faccio parte. Associazione varesina che quest’anno compie 35 candeline dalla sua fondazione, e che si occupa della promozione e coltivazione di piante da frutto, soprattutto di varietà antiche, e di orticoltura. Tra i veri e propri trascinatori del gruppo troviamo i consiglieri Zappia e Zanettini. Quest’ultimo, custode delle cappelle del Sacro Monte, è una vera e propria leggenda regionale (e anche oltre) a livello di piante da frutto. Le conosce in tutte le loro varianti, tipi di allevamento, potatura, malattie, pezzatura dei frutti, trattamenti, e tante altre cose. Un vero e proprio “guru” in materia…

Il programma della giornata è davvero ricco: si visiterà un caseificio, dove è prodotto il Parmigiano Reggiano, una cantina produttrice di Lambrusco e una riseria. Il ritrovo è a Castronno, da dove si parte di buon’ora con il bus. Siamo circa quaranta persone, un gruppo variegato e allegro. Presa l’A4 dalla diramazione dell’autostrada dei Laghi, giungi all’altezza di Verona deviamo a sud sulla Brennero – Modena. Da qui si apre un paesaggio d’altri tempi e di rara bellezza naturalistica. Campagne immense, coltivate a mais e frumento, colture di pesche, albicocche e susine, attraversate da canali d’irrigazione, offrono un’oasi naturalistica a svariate specie di uccelli: esemplari di cicogne e aironi cenerini appaiono davanti ai nostri occhi in grandi numeri. Un ecosistema davvero particolare che premia il “turista” di passaggio, dandogli la possibilità di vedere questi animali, altrimenti difficili da incontrare dalle nostre parti.
Superato il Po, arriviamo alla prima tappa della gita, ovverosia la Latteria Vo Grande di Pegognaga. Trattasi di una cooperativa sociale composta di ben 35 soci proprietari di stalle. All’ingresso troviamo lo spaccio locale, dove siamo accolti dalla figlia del casaro, che ci farà da guida. Un forte odore di stallatico invade le nostre narici: l’azienda è proprietaria, tra l’altro, di circa diecimila maiali ! Infatti, superato lo spaccio, si aprono tanti fabbricati adibiti a porcilaie: qui i maiali sono allevati per poi essere trasformati in carne e salumi.  Ma iniziamo a parlare di Parmigiano: prodotto con latte semigrasso e senza alcun tipo di conservante, è ottenuto dalla mungitura del mattino e della sera da vacche di razza Frisona, i cui alimenti sono principalmente fieno e mais. La zona di produzione parte dalla bassa mantovana, identificata sotto la linea del Po, per aprirsi fino a Parma, Reggio Emilia, Modena e parte della provincia di Bologna, delimitata dal fiume Reno.

Il latte è raccolto nelle vasche di scrematura, e sosta al loro interno per un’intera notte. Al mattino successivo è tolta la panna che si è formata in superficie, che è poi riutilizzata come panna da cucina, mentre il latte passa nella sala cottura. Qui enormi paioli in rame lo accolgono, dove è riscaldata fino a 55 gradi. A questa temperatura, tramite lo spino, classico attrezzo del casaro, viene rotta la cagliata, che in seguito si deposita sul fondo dando origine al Parmigiano. A questo punto la cagliata è tagliata a metà, ottenendo due pezzi di future forme di formaggio, e avvolte in teli di canapa. Ogni giorno sono prodotte 64 forme. Una volta ben sgocciolate, le due metà sono deposte nelle fasce, che daranno vita alla classica forma del Parmigiano. Da qui passano nel locale di asciugatura, dove gli viene posto sopra anche un peso in modo da schiacciarle e farle asciugare meglio, e poi nella sala di raffreddamento, dove sostano per qualche giorno. A questo punto le nostre forme sono pronte per la salamoia. Enormi vasche profonde due metri, riempite di una soluzione di acqua e sale, accolgono il formaggio, che viene completamente immerso in esse. La fase di presa di sale dura 19 giorni, dopo di che avviene un passaggio in camera calda per circa tre ore, dove le forme sono fatte asciugare. Il nostro Parmigiano è quindi pronto per essere stoccato a magazzino.
Siamo quindi condotti nel magazzino, dove riposano ben 27.000 forme di Parmigiano ! Vederlo è impressionante: forme tonde si rincorrono a dismisura sia in altezza sia in lunghezza…si va dalle più giovani, dal colore più chiaro, a quelle quasi dorate, imbrunite, ovverosia più vecchie. Le stagionature che compie il caseificio sono di tre tipi: dolce da tavola, ovverosia formaggio giovane stagionato minimo 12 mesi, poi 27 mesi e si finisce con quello stagionato ben 36 mesi. Il profumo è qui presente è invitante: si vorrebbe assaggiare tutto questo ben di Dio…infatti facciamo una breve degustazione delle tre tipologie, dove sicuramente la 27 mesi e soprattutto la 36 mesi fanno la parte del leone, quest’ultima presenta un profumo e sapore deciso, aromatico, davvero intrigante. Ottima anche la 27 mesi, mentre un po’ sapida e umida risulta la forma con la stagionatura più giovane. Durante gli assaggi, non si può fare a meno di notare enormi squarci, ora riparati, sulle pareti del magazzino: qui, in occasione del terremoto del 2012, i cantilever con le forme di Parmigiano sono crollati, causando la rottura e perdita di quasi tutta la produzione. La nostra guida ci ha detto che non aveva mai visto fino a quel giorno suo padre piangere, cosa che invece è avvenuta in quel contesto e giorno disgraziato…ma da vero uomo legato alla terra, quella vita e a quel prodotto, ha avuto il coraggio di ripartire. Ora tutti i ripiani di stoccaggio sono a prova di sisma, e rimboccandosi le maniche, sono piano piano ripartiti.

Lasciato alle spalle il magazzino, ci riversiamo come un fiume in piena allo spaccio: personalmente acquisto un bel salame mantovano e un chilo di Parmigiano, ma tutti fanno (più o meno) ordinatamente la fila per acquistare qualcosa.

Lo spaccio della Latteria Vo Grande

Enormi silos

Le vasche di scrematura

Il locale di lavorazione del latte

Gli enormi paioli in rame

Lavorazione del latte


Attrezzature varie

La cagliata

I contenitori delle forme

Il casaro con li spino

SI rompe la cagliata con lo spino

Controllo della densità della cagliata

Lo spino

Le due forme divise

Prende forma il Parmigiano



Locale di asciugatura

I coperchi che si mettono sopra le forme

Forme trasferite in contenitori inox


I contenitori inox

Le forme vengono girate manualmente

Salamoia !

Le scritte sulla forma


Ultima asciugatura dopo la salamoia

L'impressionante magazzino di stagionatura













I segni del terremoto del 2012

Forma del 2011

Ancora i segni del terremoto

Maiali !


Uno sguardo stupito ma simpatico...
Riempiti borse e zaini, ripartiamo alla volta di Gonzaga: la locale cantina di Lambrusco ci attende. Purtroppo abbiamo sforato i tempi con la visita alla Latteria, e quindi quando giungiamo in cantina, l’accoglienza non è delle migliori. Vista l’ora, non è più possibile visitare in maniera accurata la cantina con tutti i suoi procedimenti di vinificazione: c’è concessa solo una fugace e velocissima passeggiata al suo interno, per poi essere catapultati allo spaccio. Insomma, certo colpa nostra che siamo arrivati tardi, ma in questo modo non fai una bellissima figura di fronte a potenziali clienti, tanto è vero che quasi tutti acquistiamo qualche cartone di vino. Allo spaccio molto curioso (ma non inusuale nelle cantine sociali) la presenza di distributori di vino, tipo quelli della benzina, dove ti viene riempita la tanica o damigiana del caso. Giusto qualche piccola curiosità: qui producono Lambrusco da uve Salamino, Ruberti, Marani, Maestri, Viadanese, vini bianchi con Trebbiano, e spumanti con Malvasia.

Affinamento in cemento

Affinamento in vetroresina

Macchina tappatrice

Linea di etichettatura


Affinamento in acciaio

Il locale di stoccaggio delle bottiglie pronte per la distribuzione

Pressa pigiatrice

Distributori di vino...
Bene, il bus ci attende per portarci al ristorante: riattraversiamo Gonzaga e ci dirigiamo ancora verso Pegognaga. La metà è il ristorante Il Caminaccio, dove è presente anche un laghetto di pesca sportiva. A tavola, oltre ad allietarci con i piatti tipici della tradizione mantovana, ho la fortuna di sedere a fianco di Zappia e Sante Zanettini: entrambi si prodigheranno in consigli utilissimi sulla vita associativa e sulla coltivazione del frutteto. Farò tesoro delle loro parole…
Finito il pranzo, e dopo una breve caccia a un disperso (“abbioccatosi” su una panchina ben nascosta, tanto da mettere in preallarme il presidente pronto a rivolgersi a “Chi l’ha visto”), ci rechiamo a Nosedole presso la riseria Corte Facchina Piccola. Un’immensa e bellissima cascina risalente al 1400 si apre davanti ai nostri occhi. Da sotto il porticato, un’imponente figura maschile ci viene incontro: è Massimo Battistello, titolare con il fratello della riseria. Si dimostrerà da subito un personaggio simpaticissimo e istrionico, mettendoci subito a nostro agio.

Per prima cosa ci conduce alle adiacenti risaie di sua proprietà: ben 100 ettari coltivati con questo cereale di due qualità, Carnaroli e Vialone Nano. In lontananza ci indica un trattore alla cui guida c’è il fratello, che sta procedendo a concimare le risaie. Risaie che in questo momento sono senz’acqua, proprio perché devono fare alcuni trattamenti. Lì vicino un’infinità di canali si aprono lungo i suoi terreni: l’acqua utilizzata per irrigare i campi proviene direttamente, tramite tantissime chiuse e vari corsi, dal lago di Garda. Massimo ci dice che ormai, chiaramente, il tempo delle mondine è finito da un pezzo: ora, semina e raccolta sono completamente meccanizzate. Purtroppo l’utilizzo di fertilizzanti ha fatto sparire anche alcune specie acquatiche che una volta si trovavano in grandi quantità nelle risaie: pesci gatto e rane sono ormai un lontano ricordo.
L’impressionante canicola presente nella campagna mantovana, suggerisce a Massimo di farci spostare nei locali di lavorazione del riso. Prima ci fa vedere l’aspiratore esterno al magazzino di raccolta, che porta il cereale appena raccolto all’interno, e poi ci trasferiamo nel magazzino, dove due masse di riso giacciono a terra, in attesa di essere lavorate. La lavorazione avviene nel locale attiguo. Un grosso impianto di aspirazione, sgranatura, pulitura e lucidatura porta i nostri chicchi di riso a vari livelli: ogni chicco è rivestito da ben sette camicie esterne, e in base alle camicie tolte, otteniamo risone, riso integrale, riso pilato e riso brillato. Come per il maiale qui non si butta nulla: gli scarti delle lavorazioni saranno poi utilizzati principalmente per cosmetici e prodotti per la pulizia del corpo. L’ultimo controllo di ogni singolo chicco viene fatto da un’apparecchiatura a raggi infrarossi, che tramite un getto d’aria riesce a scartare quelli che presentano imperfezioni !

Il riso a questo punto passa alla fase d’impacchettamento, che può essere sia sottovuoto oppure nel classico pacchetto “morbido”.
Successivamente, da buon imprenditore che sa fare il suo mestiere, Massimo, coadiuvato da moglie e cognata, ci offre una bella tavolata con formaggio, pane e salame, il tutto accompagnato ovviamente da vino bianco e Lambrusco locali (in questo caso della Cantina di Quistello). Il salame è sublime, si scioglie in bocca, saporitissimo e con la classica “punta” di sapore d’aglio, che nel salame mantovano non deve mai mancare. Massimo ci racconta ulteriori aneddoti sul suo lavoro e sulla sua cascina, regalandoci una breve passeggiata nei suoi locali e aie, poi via, tutti allo spaccio a fare compere: nel mio caso acquisto qualche confezione di Carnaroli e Vialone Nano, oltre a mezzo chilo di riso Venere (quello nero, non prodotto però da lui). Acquisto anche delle schiacciatine di riso, assaggiate alla precedente tavolata, davvero buone. Infine il nostro anfitrione ci accompagna tutti in un vicino bar per offrire caffè o altro…davvero un grande.

Risaia
 
Piccole piantine di riso crescono vigorose...
 
Marcita tra i campi
 
Roggia d'irrigazione
 
Coltivazione di patate
 
e di zucche...
 
La vecchia stalla
 
Riso immagazzinato in attesa di essere lavorato
 
Ecco il riso grezzo..
 
L'impianto di lavorazione
 
Una delle aie della vecchia cascina
 
Porticato che funge da ricobero per attrezzi agricoli
 
Il vecchio locale falegnameria presente nella cascina
 
Le bellissime volte interne della stalla
 
Il vero padrone di casa !
 
 
La tavolata con i prodotti tipici locali...
 
Vari tipi di riso
 
Vecchie foto di mondine al lavoro...
E’ ora di ripartire: salutiamo Massimo e la sua famiglia. Riattraversiamo la bellissima campagna mantovana, poi, una volta sull’A4, la stanchezza prende il sopravvento su molti di noi. Mentre all’andata il chiacchiericcio regnava all’interno del bus, ora solo qualche voce assonnata fa capolino tra i sedili. Ci si risveglia tutti all’immancabile punto di strozzatura milanese: il tratto tra Sesto e Certosa. Una coda infinita, macchine che suonano il clacson all’impazzata e che cambiano carreggiata in base ai movimenti della coda, tagliandoci più volte la strada, ci ricordano che siamo quasi a casa. Saltato il tappone (io poi in realtà dovrò immergermi ancora, visto che devo tornare a Sesto), ci dirigiamo a Castronno, e giunti al punto di ritrovo, ci salutiamo calorosamente, tutti ben contenti della giornata trascorsa assieme.
Che dire se non ringraziare la splendida associazione de “I Buoni Frutti” per la convivialità offerta e per l’occasione di visitare posti interessanti e bellissimi…!

Anzi sia Sabrina che io consigliamo a tutti di visitare sia la Latteria Vo Grande (si sono detti disponibili anche a visite per singoli privati, oltre che a organizzarle anche gruppi e scolaresche), sia la riseria Corte Facchina Piccola.
Siamo sicuri che anche voi apprezzerete il lavoro di queste persone semplici, ma forgiate da una grande determinazione e passione nel portare avanti prodotti d’eccellenza, lavori e tradizioni del territorio…