martedì 23 ottobre 2012

Luci a San Cerre...

Perdonatemi il gioco di parole sulla famosa canzone di Vecchioni intitolata "Luci a San Siro", ma la metafora è simpatica...

In realtà quello di cui vorrei occuparmi e parlavi oggi, è un vino, un signor vino, un grande vino, che proviene dal distretto vitivinicolo di Sancerre (tutto attaccato, non come nel titolo), posta nella regione della Loira.

Ed è qui che il Sauvignon Blanc, vitigno le cui caratteristiche danno vita a vini con un'acidità tagliente, freschi e minerali, raggiunge livelli di eccellenza assoluta, riconoscendo Sancerre e la vicina Pouilly-Fumè le patrie di questo vitigno.

Il vino che con Sabri abbiamo degustato ieri, è il Sancerre "Les Monts Damnés" - Appellation Sancerre Contrôlée, prodotto da Pascal Cotat, annata 2009, 14% titolo alcolometrico.
Cotat è sicuramente tra i più noti ed importanti vigneron di questa zona, regalandoci autentiche perle enologiche attraverso i suoi vini, dando molta importanza alla concezione di terroir.
Si perchè a Sancerre e Pouilly-Fumè è la particolarità del terreno che influisce sulle note di sapidità e mineralità dei vini. Terreno composto principalmente da argilla e silice, dove nella zona di Pouilly-Fumè aggiunge anche note di affumicatura.
Cotat inoltre fa affinare il suo vino in botti grandi, aventi circa 60 anni, mentre l'età delle vigne del suo Sauvignon Blac è mediamente di 35 anni.

Già la presenza della ceralacca sul tappo fa capire che il vino in questione è egoisticamente di rango, importante, presuntuoso, che vorrebbe essere tra i migliori della sua tipologia, incutendo quasi timore e rispetto all'ignaro consumatore...

Una volta aperto, con Sabri ne verso nel bicchiere la giusta dose per eseguirne un'iniziale degustazione.

Il colore è il classico giallo paglierino tipico di questo vino, soprattutto se giovane...pecca forse di un poco di consistenza nel bicchiere, ma ripeto, l'età non lo aiuta sotto questo punto di vista.
Al naso è un'esplosione di profumi ed aromi... pesca gialla, pera, pompelmo, l'inconfondibile geranio, caratteristica del Sauvignon Blanc.
Proseguiamo poi con mandorla, gelsomino, un leggero sentore che ricorda le caramelle Mou, per poi passare a note torbate e di affumicatura, finendo con l'immancabile mineralità data dalla pietra focaia.
La grandezza di questo vino la troviamo anche in bocca...meraviglioso per come entra e prosegue...grande struttura e corpo, acidità affilatissima che lo rende davvero fresco, seguito da una sapidità davvero sublime.
Morbido, rotondo e vellutato, oserei dire grasso nelle sue componenti, dopo averlo degustato fa tornare alla bocca note torbate ed ammandorlate, con una PAI interminabile...

Sicuramente ha davanti a sè ancora un decennio per affinarsi ulteriormente, smussare un poco la spigolosità acida (anche se io impazzisco per simili vini).
La bottiglia consumata ieri è stato sicuramente un infanticidio...il problema è resistere alla tentazione di bere questi bellissimi vini, che regalano emozioni e ti travolgono e conquistano con la loro freschezza, beva e complessità...

Una goduria per gli amanti (e non) del Sauvignon Blanc...

Prezzo in enoteca: ~ € 35,00 - 45,00

lunedì 22 ottobre 2012

Tradizioni contadine: il taglio del fieno...

Ieri, mentre passeggiavo per la periferia di Gerenzano, mi sono imbattuto in alcuni campi di fieno appena falciato.
Di per se nulla di strano, il fieno emanava un profumo fortissimo, deciso, gradevole, l'erba era disposta in maniera ordinata in lunghe file orizzontali che tagliavano per la loro larghezza i campi, qua e là spuntavano dai mucchi fiori viola...
Ma il fatto che mi ha colpito è stato quello di trovarmi di fronte ad una falciatura fatta a metà / fine ottobre...mi è parsa una cosa molto strana...
Allora ho chiesto lumi a mio padre, ed effettivamente mi ha detto che ho assistito a un evento rarissimo per le nostre campagne !!!

Nella tradizione contadina, esistono quattro tagli del fieno:

  1. MAGGENGO ("mageng" in dialetto) - eseguito a Maggio
  2. AGOSTANO ("agostan") - eseguito ad Agosto
  3. TERZIROLO ("terziroeu") - eseguito a Settembre
  4. QUARTIROLO ("quartiroeu") - eseguito a Ottobre
I primi due tagli sono di prassi comune. Gli ultimi due invece sono quelli più rari. Essi dipendono dall'andamento della stagione, e mentre il "terziroeu" è comunque più probabile che venga eseguito, il "quartiroeu" invece è davvero raro. Lui stesso mi ha detto di averne visti pochissimo a Gerenzano nell'arco della sua vita.

Al giorno d'oggi per eseguire il taglio del fieno vengono utilizzate apposite macchine operatrici, mentre una volta l'unico attrezzo era la "rànza" (la falce), oppure veniva utilizzata una falce più piccola, "ul müsuroeu".
Come sempre, il mondo contadino era più furbo di quel che si pensava e si pensa oggi...infatti il taglio era fatto di giovedì, in modo che se il tempo nei giorni seguenti fosse stato bello, alla domenica era già secco e pronto per essere raccolto. Questo perchè la domenica la famiglia era tutta riunita, e quindi si poteva sfruttare tutta la forza lavoro disponibile (ad iniziare dai più giovani, i quali la domenica cercavano sempre di tagliare la corda per andare dalla morosa o trovarsi con gli amici).
Il fieno, prima di essere raccolto, veniva girato due volte al giorno, e prima di sera veniva poi accatastato in covoni per far si che la rugiada notturna bagnasse solo la parte superiore del fieno, facendo si che tutto il resto rimanesse asciutto. Il mattino dopo veniva tutto ridistribuito sul campo per ricominciare a farlo seccare.
Il lavoro di girare il fieno era compito dei più anziani e dei più giovani della famiglia. Per fare questo lavoro veniva utilizzato il classico forcone di legno biforcuto ("ul furchett"), oppure poteva essere fatto anche con il solo manico di legno e la parte biforcuta in metallo.
Una volta secco, il fieno veniva caricato su un apposito carro chiamato "bara", che era stato adattato per trasportare il più fieno possibile.
Dopodiché il fieno veniva scaricato sull'aia della corte o casa, e messo direttamente o in stalla, o in appositi locali attigui a quest'ultima, per poi essere utilizzato come mangime per gli animali.

Una curiosità: con l'erba del quarto taglio, ovverosia "ul quartiroeu", deriva il famoso formaggio Quartirolo, in quanto l'erba che viene data da mangiare alle mucche da cui si ricaverà il latte per la produzione del Quartirolo, è proprio quella del quarto taglio.

Direi quindi che ieri ho assistito davvero ad un evento "rarissimo", visto che il "quartiroeu" è un evento "particolare" per le campagne gerenzanesi.
Se volete vedere i campi in cui è stato eseguito questo taglio, recatevi presso via Padania, oppure presso il campo d'angolo tra il campo sportivo e la strada che immette alla piattaforma ecologica.


















giovedì 18 ottobre 2012

La "topia" d'uga mericana...

Oggi è raro vederne ancora, ma una volta, buona parte delle nostre case e corti presentavano tutte una particolarità: "u la topia d'uga mericana" ...

Cos'è la "topia" ? Il significato della parola lascia adito a più interpretazioni. Si dice che derivi dal greco, e la si trova anche in latino, dove è identificata come "arte o architettura del giardino".
Oppure, intesa come noi la conosciamo odiernamente, sta a significare pergolato.
Si perchè si tratta di un pergolato composto da più pali paralleli conficcati verticalmente nel terreno ad una determinata distanza tra loro e legati sempre fra essi tramite pali posti in orizzontale o fili d'acciaio (dove le viti d'uva erano libere di crescere, ed i loro tralci si sviluppavano percorrendo questi fili).
Oppure erano una o più piante di viti a cui era data la possibilità di crescere a ridosso del muro di casa, facendo sviluppare sempre i tralci verso l'esterno della casa tramite appigli conficcati nel muro.
In questo modo si ottenevano due cose: un piccolo "impianto" di viti, in modo da sfruttarne i grappoli per cibarsene, ed un riparo dal sole, che, soprattutto nei mesi estivi, offriva la possibilità di  trovare un pò di frescura dove potersi riposare un poco.

La vite principalmente utilizzata per ottenere la "topia", era quasi sempre la cosiddetta uva americana (uva fragola), molto diffusa nelle zone di Piemonte e Lombardia, sia nella versione nera, sia in quella gialla. Uva molto redditizia, dolce, con grappoli conici ed acino arrotondato.

La curiosità nel cercare ancora delle "topie" esistenti nei nostri paesi, mi ha portato a fotografare questi due esempi:







Questa si trova nella casa presente all'uscita del parcheggio dell'ospedale di Saronno, prima del villaggio FRUA.
La "topia" si estende lungo tutto il muro esterno della casa.

Quest'altra invece si trova lungo il muro perimetrale di una casa posta a metà di via Roma a Turate, andando verso il centro del paese.





Entrambe sono ancora ben tenute, molto sviluppate.
Purtroppo al giorno d'oggi sono quasi completamente scomparse. A Gerenzano era famosa quella dell'Osteria del Cavallino in via XX Settembre, che era il punto di ritrovo dei gerenzanesi di un tempo, dove si poteva bere un "bicier de vin" e giocare a carte.

Fino agli anni '60 anche a casa mia vi era la "topia", che si sviluppava subito appena varcato il cancello d'ingresso, creando una volta di tralci e foglie molto "scenografica". Poi i miei nonni decisero di eliminarla (ad oggi la sua presenza ne è testimoniata dalle basi di cemento poste a terra dove erano conficcati i pali in acciaio che supportavano la struttura).

E' inoltre curioso notare come in uno studio condotto dall'ERSAF sui vecchi vitigni lombardi venga identificata una particolare uva (Moradella) chiamata anche uva Topia.
Essa era molto utilizzata nei comuni dell'Oltrepò Pavese, poi lentamente abbandonata in favore del Barbera. Molto probabilmente in realtà si tratta sempre dell'uva americana, che veniva chiamata uva Topia proprio perchè utilizzata nell'ottenimento del classico pergolato.

Sarebbe bello fare un piccolo censimento odierno delle "topie" rimaste nei nostri paesi, in modo da farne una piccola catalogazione e magari riuscire nell'intento di preservarle.
Provate anche voi a guardarvi attorno mentre girate nelle strade e vie locali, e se volete, segnalatemi qualche "topia" ancora esistente.
Potremmo riuscire a salvare e conservare qualche piccolo angolo di un'epoca ormai scomparsa...

lunedì 15 ottobre 2012

Birra in fermentazione...




Sono ormai più di dieci anni che mi dedico alla produzione casalinga di birra, da cui ne traggo ottime soddisfazioni.
Essendo tanti anni che la produco (solo per uso personale) e vedendo il boom e giro di affari degli homebrew cresciuti nell'ultimo decennio, un pò mi sono pentito di non aver dato un seguito più professionale a questa passione, ma va bene così, rimane un piacevolissimo hobby.
Come si vede dalla foto iniziale, in questo momento i miei 23 litri di birra sono nella fase fermentativa. Quest'anno ho deciso di produrre una Lager base, semplice, ma che risulterà molto fresca e piacevole alla beva.
Ma come fare la birra in casa ? In realtà è molto semplice.
Al giorno d'oggi vendono questi ormai famosi kit di produzione, che vanno dal semplice fusto in plastica (come il mio), ai più seri fermentatori in acciaio inox (dove chiaramente il costo sale ).
Nel kit troviamo il fusto di fermentazione (con rubinetto e gorgogliatore), detergente e sterilizzatore in polvere, mestolo, spazzolino per la pulizia delle bottiglie, confezione di tappi a corona, tappatore manuale, dosatore di zucchero, imbuto e densimetro (molto importante quest'ultimo, vedremo la sua funzionalità più avanti).

Prima cosa importante da fare è la scelta del malto, che determina la tipologia di birra. In commercio trovate tantissime quantità di malto, come per esempio Pilsner, Lager, Pale Ale, Draught, etc. etc., potete sceglierlo in base ai vostri gusti e preferenze personali. Piccolo suggerimento: la prima volta non cimentatevi in birre "difficili" da preparare, rimanete sui malti base, e soprattutto segnatevi tutte le quantità di ingredienti, tempi di preparazione e densità ottenuta.

Seconda cosa importante è la scelta dell'acqua. Bisogna scegliere l'acqua in base alla sua durezza ed in base al tipo di birra da eseguire. Acque leggere verranno scelte per produrre birre tipo Lager e Pilsner, dure per birre tipo Stout e Dark. Io ho sempre utilizzato la San Francesco o San Antonio, mai quella del rubinetto in quanto è troppo alta la presenza di cloro.

Terza cosa importante è reperire delle bottiglie. Bottiglie che potranno essere da 0,33 litri o 0,5 - 0,66 litri. Solitamente io faccio un mix tra le varie capacità di bottiglia....
Ma dove recuperarle ? La via più facile è quella di essere amici di un proprietario di un bar, al quale potrete gentilmente chiedere di non buttare i vuoti ma di darli a voi. Se invece non avete nessuno conoscente proprietario di bar, tenete da conto i vuoti delle birre che acquistate e bevete oppure prendetele negli stessi posti dove acquisterete il kit.

Bene, siamo quindi pronti per dare il via all' "OPERAZIONE BIRRA CASALINGA" !!!

Con lo sterilizzante in dotazione, provvedete alla sterilizzazione del fustino di fermentazione, avendo cura poi di risciacquarlo per bene e lasciarlo asciugare.
Ora prendere la vostra confezione di malto che avete scelto. In una pentola fate riscaldare dell'acqua, immergete la lattina di malto e la lasciate scaldare per circa 10 minuti.
Successivamente prendete la lattina, l'aprite (occhio che scotta), la versate in un bel pentolone grande dove avrete già messo 3 litri di acqua bollente, e dove poi aggiungerete l'eventuale zucchero richiesto nella preparazione della vostra birra (dipende dal tipo). Lo zucchero sarà l'elemento che darà più o meno grado alcolico alla bevanda. Con il mestolo si provvede quindi a far sciogliere tutto il composto.

A questo punto, dopo essere stato raffreddato, il vostro "beverone" è pronto per essere travasato nel fermentatore. Iniziate a mettere circa 5 litri di acqua fredda sul fondo del fustino. Successivamente travasate il malto, e poi metterete la restante quantità d'acqua necessaria alla produzione della birra.
Quando il "beverone" avrà raggiunto una temperatura intorno ai 20°C, mettete il lievito (che è allegato alla lattina di malto), e mescolate il tutto. Una volta sciolto il lievito, provvedete a chiudere il fustino con il tappo superiore, riempite il gorgogliatore posto sul tappo con acqua e metabisolfitoposto e posizionate il vostro fermentatore in un locale dove si ha una temperatura compresa tra i 20 - 24°C.
Attenzione: è importante che la temperatura sia compresa in questo range, altrimenti i lieviti non svolgono la loro funzione e quindi la fermentazione non parte.

Lasciate passare alcune ore, e sentirete che dal vostro fermentatore si svilupperanno dei gorgogliamenti, anche visibili nel gorgogliatore superiore. Bene, questo vuol dire che la vostra birra sta fermentando !!!
Il tutto può durare dai 5 ai 10 giorni. Quando non sentirete e noterete più alcun gorgogliamento, provvederete quindi a controllare la densità della vostra birra. Tramite il densimentro, vi accerterete che i valori di densità siano quelli riportati nella scheda del malto che avete scelto. Se ciò non fosse, dovete attendere ancora qualche giorno.

Cosa fare nel frattempo che attendete che la vostra birra sia pronta ? Semplice, lavate e sterilizzate le bottiglie.
Prima cosa da fare, è levare l'etichetta (se presente). Immergete le bottiglie in acqua calda, lasciando sciogliere la carta dell'etichetta e la relativa colla, aiutandovi con una paglietta di  ferro da cucina per togliere il tutto.
Oppure le lasciate per più giorni immerse in un catino pieno d'acqua, avendo cura poi di togliere i residui dell'etichetta.
Successivamente con la solita soluzione di acqua e sterilizzante, le lavate sia esternamente che internamente, e le mettete ad asciugare in un grosso catino o sugli appositi sgocciolatori per bottiglie.



Bene, quando la vostra birrà sarà pronta, potrete quindi imbottigliarla.
Inserite la bottiglia nel rubinetto inferiore del fermentatore, lo aprite e riempite la bottiglia.
A questo punto, con l'apposito misurino, inserite la quantità di zucchero necessaria per ogni tipo di bottiglia (la quantità cambia in base alla capacità della bottiglia). Ponete poi la bottiglia sul tavolo, e con il tappatore più tappo, la chiudete (fate attenzione che le prime volte potrà capitarvi di far cadere bottiglia e birra durante questa operazione, bisogna prenderci un'attimo la mano).
Successivamente riponete le bottiglia di birra in un locale avente una temperatura compresa tra i 20 - 24°C, messe in maniera verticale.
Mi raccomando, capisco che avrete sicuramente una gran voglia di assaggiare la vostra creatura, ma non bevetela appena imbottigliata o dopo qualche giorno, perchè sarà sicuramente imbevibile.
Fate passare almeno 3 mesi, tenendo conto che più la lasciate maturare, è più sarà godibile...

E ora che dirvi...spero di avervi fatto venire la voglia di cimentarvi nella produzione di birra artigianale, perchè come in tutte le cose prodotte da se stessi, sono sempre le più belle e buone !!!

PROSIT !!!

martedì 2 ottobre 2012

Ul farèe...

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !
Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...
All'incrocio tra via XX Settembre e via Zaffaroni c’era l’officina "dul Carloeu e dul su fioeu Zepp", due geniacci dalle mani callose e perennemente annerite. Era formata da una parte coperta, che era l'officina vera e propria, e da una parte scoperta, dove "cavaj, mull, asnitt, vacc e lisett" aspettavano che arrivasse il loro turno.
Questa parte scoperta era ombreggiata da lunghi tralci di "uga grinta" sistemati in modo da formare un vero e proprio "berceau".
A causa dell’età avanzata "ul Carloeu" limitava la sua opera alla "toilette" delle mucche mentre suo figlio "Zepp" faceva tutto il resto. Nell'officina "dul Carloeu e dul Zepp" noi ragazzi vedevamo una specie di antro di vulcano.

La luce era fioca, i colpi di martello "dul Zepp" erano fortissimi e nella poca luce si vedevano benissimo le schegge di fuoco che partivano dai ferri arroventati colpiti dalle martellate "dul Zepp". L’officina non era molto grande ed aveva le pareti annerite dal fumo della fucina e dal tempo.
Appesi qua e la c'erano dei piccoli mobiletti dove con cura erano riposti aggeggi di ogni tipo e forma; sul banco c'erano attrezzi costruiti da loro stessi per meglio poter svolgere il proprio lavoro e, in un angolo, c'era il mucchio dei ferri levati ai cavalli.

L’officina era uno dei ritrovi più vivi della vecchia Gerenzano.
Specialmente nei mesi invernali, quando per forza di cose il lavoro nei campi si fermava, i "paisan" si ritrovavano dai due maniscalchi a "cascià quatar ball". Mentre andavo a scuola li vedevo gia lì: "ul Bias, ul Rineo , ul Giuloeu du la guardia, ul Gustin Pefani, ul Busin di Mugnon, ul Durin, ul Trjapaja, ul Giuanoeu dul German" e tanti altri. E mentre loro chiacchieravano "ul Carloeu e ul Zepp" lavoravano. "Eran sempar stàa di grand lavoradur, chi duu li" e a me piaceva vederli lavorare.

Ma soprattutto mi piaceva vedere con quanta maestria "ul Zepp", dopo aver arroventato un ferro di cavallo, lo modellasse a suon di martellate sulle misure dello zoccolo del cavallo da lui prese in precedenza.
"Orcu can sa l' era bravu ul Zepp".
Poi, senza attendere che il ferro si raffreddasse completamente, lo appoggiava ancora tiepido allo zoccolo del cavallo. Dovevate vedere che fumo allora si alzava. E col fumo un'odore nauseabondo di unghia bruciata. Accertato che il ferro aderisse bene allo zoccolo, lo inchiodava e, alè, il cavallo era servito, sotto un altro. E mentre sistemava un altro cavallo ascoltava le chiacchiere dei suoi amici "paisan": "la mia Pecia la ma fa tredas litar da lacc al dì", diceva uno, "ul me moro l’estàa pasàa la tiràa a cà una bara da fen da vintun quintaj, la mia loeugia la ma fàa noeuv purcelitt, ier u mangiàa un tuist ma l’era minga bon" e così via.
Anche le mucche facevan la loro brava "toilette". "Ul Carloeu” con una tenaglia dalle ganasce affilatissime tagliava loro le unghie e le ripuliva internamente dallo sterco.

Poi, con l' apparire dei primi trattori e con la scomparsa dei "regiù", anche "ul Zepp" dovette chiudere e ora, di uno dei luoghi che fu tra i più vivi di Gerenzano non resta niente, tranne l’officina che è stata adibita a magazzino di casse da frutta da un vicino fruttivendolo.