giovedì 17 novembre 2011

Trattavano meglio le bestie...

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !

Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...


Intervista a un ragazzo di Gerenzano di tanti anni fa

All'inizio della seconda guerra mondiale avevo 12 anni.
In famiglia eravamo in nove, i fratelli maggiori erano in guerra, dovevo perciò aiutare il papà nel lavoro dei campi.
Non posso dire che i miei genitori non mi volessero bene, specialmente mia mamma, a loro modo mi volevano certamente bene ma era indubbio che dedicavano maggiori cure alle bestie.
Di campi ne avevamo tanti e quando c'era da arare erano dolori: mio papà "portava" i cavalli e io avevo in ma no la "sciloria".
Cari ragazzi di oggi dovreste sapere cosa vuol dire avere in mano la "sciloria". Bisognava tenerla ben affondata nel terreno (e per far questo ci voleva una gran forza) e ogni volta che si iniziava o si finiva il solco bisognava sollevarla (peso 75 kg.). Le mie spalle erano esili eppure dovevo fare questo "esercizio" almeno 600 volte in un giorno.
E la mia dieta non era certamente ricca come la vostra. Eccola: caffè latte al mattino, minestra a mezzogiorno e minestra alla sera. La mia giornata lavorativa col passare degli anni era sempre di 14 ore come minimo. Quando ritornavo dal lavoro c'era sempre qualcosa da fare: caregàa ul rud su la careta, impienì la bonza da pisa, purtà à cà i maregascieu, strapàa i patati etc. etc., tutti lavori che richiedevano una forza fisica non indifferente. Si può dire che la fatica fisica era il mio pane quotidiano.

D.      
"Ma alla domenica ti potevi riposare, no?"
R.        Che cosa ? Tanto per dirne una devi sapere che i "regiù" di Gerenzano avevano l'accortezza di tagliare il fieno al giovedì in modo da poterlo portare a casa la domenica perché alla domenica tutta la famiglia era presente (anche i piccoli che andavano a scuola) e si finiva tardi. Ecco sì verso le otto di sera ero libero ma chi aveva voglia di uscire con tutta quella stanchezza addosso ? Avevo solo voglia di dormire.
D.       "Hai detto prima che la tua dieta era povera ma come componente di una famiglia contadina avrai pure avuto a disposizione, che so, delle uova?
R.        Vedi le uova le vendevano o le davano alle bestie. E’ vero che qualche uovo riuscivo a farlo sparire dal pollaio e che mia mamma qualche volta mi faceva la "rusumada", ma la maggior parte era venduta o data, quando c'era, al "buscin".
D.       "Uova date al "buscin" questa è nuova non l'avevo mai sentita".
R.        Vedi la storia degli animali allevati in modo non naturale esisteva già a quei tempi. Qualche anno fa c’è stata la storia dei vitelli ingrassati con estrogeni per farli aumentare di peso in fretta, allora la cosa era più "casereccia", al vitello di latte non veniva dato solo latte come sarebbe stato naturale che venisse fatto ma veniva dato anche un "pastone" formato da latte, uova e pane raffermo, per far sì che ingrassasse in fretta. Ma al macellaio esperto questo fatto non sfuggiva: bastava che guardasse gli occhi del vitello per capire il trucco. Il vitello allevato in questo modo aveva gli occhi più rosati di quello allevato solo a latte e la carne era più fibrosa.
Quando c'era il vitello mio padre comperava dei sacchi di pane raffermo da dare alla mucca quando a questa cominciava a scarseggiare il latte. Era un pane durissimo, eppure noi fratelli cercavamo di rubarlo per poterci saziare un pochino. Da queste frasi avrai capito che avevamo fame eppure i nostri genitori si guardavano bene dal comperare una maggiore quantità di pane per saziarci, dovevamo accontentarci di quello che c’era, ma per la mucca non esitavano un attimo a comprarlo (sia pure raffermo).
D.       "Senti, non ho mai capito perché i "maregasc" dovevano essere estirpati con le radici invece che tagliati alla base con la zappa (sai, da "bambino, avevo aiutato anch'io i contadini a battere le radici dei "maregasc" con un bastone corto per liberarli dalla terra che vi era rimasta attaccata)".
R.        Il motivo è semplicissimo: se i "maregasc" venivano tagliti con la zappa e lo stelo fosse stato ancora verde attorno alle radici, la parte che rimaneva nel terreno diventava più pericolosa di una lama di coltello e se per caso durante l'aratura lo zoccolo di un cavallo vi finiva sopra erano dolori: il contadino doveva sospendere l'aratura per dieci - quindici giorni finché la ferita non si fosse rimarginata. Se invece ci finivo io su quella tagliola non succedeva niente anche se il taglio fosse stato lungo e profondo, l'importante era che non si facesse male il cavallo.
D.       "E' vero che c'era la stasi invernale?"
R.        E' vero, però nel periodo invernale si doveva fare il lavoro che più aborrivo: quello di liberare i campi di frumento dai sassi. Le piogge invernali li avevano dilavati e fatti venire in superficie. In gennaio mi mandavano nei campi di frumento con la "sidela" e, dopo aver smosso i sassi col tacco, (perché erano gelati) dovevo raccoglierli e riporli nella "sidela" e depositarli all'inizio o alla fine del campo. Dopo, sarebbe passato mio padre con la "careta", li avrebbe caricati e portati alla cava. Perché non volevo fare questo lavoro ? Ma perché i sassi erano coperti di brina e, dopo averne raccolti un po', avevo le dita delle mani gelate. Ecco perché io non voglio più saperne della terra, la terra per me è stata una matrigna "ma da quj gramm", a Gerenzano dicono che "la terà l'è bassa" ed io ho sperimentato personalmente la verità di questo detto.
Ormai sono in pensione, i miei genitori sono morti e della loro eredità mi son tenuto solo il bosco (la terra no, quella l'ho venduta subito e col ricavato mi sono costruito la casetta) perché nel bosco mi piace andarci e perché vi facevo uno dei lavori che preferivo: il diradamento dei rami di pino. Salivo su un pino, tagliavo i rami più bassi, poi mi arrampicavo su quelli superiori, facevo dondolare la cima per avvicinarmi al pino più prossimo e vi saltavo su ripetendo l'operazione di diradamento e di dondolamento e così via per tutta la giornata. La terra, come avrai capito, non voglio più coltivarla, nemmeno per hobby: guarda quella che circonda la mia casetta, l’ho sistemata a prato all'inglese proprio per faticarci il meno possibile, perché io sono uno di quelli che sulla terra ha lasciato sudore, lacrime e, soprattutto, la gioventù. Alla larga dalla terra.


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