lunedì 17 febbraio 2014

Visita all'abbazia di Chiaravalle...


Finalmente la pioggia di queste settimane ci regala un giorno di tregua, dandoci un assaggio di primavera, con temperature davvero miti. Ne approfitto quindi per visitare un posto che mi premeva vedere da tanto tempo: l’abbazia di Chiaravalle Milanese. In realtà non è la prima volta che mi reco a quest’abbazia, perché ci andai tantissimi anni fa in gita quando ancora frequentavo le scuole elementari, ma i ricordi sono davvero molto sbiaditi e lontani...
La distanza che divide Sesto a Chiaravalle è davvero breve. La tangenziale est ci catapulta in pochi minuti verso il sud di Milano, dove la “bassa” inizia ad aprirsi. Attraversiamo il paese di Chiaravalle, ed ecco che poi giungiamo all’abbazia. Lasciamo la macchina nel parcheggio adiacente alla roggia Vettabbia, e ci rechiamo verso l’imponente carraia che introduce nel complesso monastico. Alle nostre spalle, grazie anche alla brezza presente che rende la giornata nitida, si mostrano in tutta la loro imponenza le guglie dei nuovi grattacieli di Milano, e anche la “Madunina” del Dòmm e la Torre Velasca, avendo come contorno le cime innevate delle Prealpi lombarde. Una bellissima cartolina dei nostri luoghi da memorizzare e ricordare…

Entriamo quindi nel cortile antistante all’abbazia. Un bar sulla sinistra e un negozio di souvenir (quest’ultimo gestito dai monaci) avviliscono un poco il visitatore, ma chiudiamo un occhio e procediamo oltre. La facciata gotica del monastero, con la presenza di un grosso rosone centrale e di un portico a cinque campate, è “l’anticamera” alla bellissima “Ciribiciaccola”, la torre che svetta sopra il complesso. La torre è formata da colonne bianche di marmo di Candoglia, e raggiunge un’altezza di più di cinquanta metri. E’ chiamata “Ciribiciaccola” probabilmente dal soprannome che i milanesi diedero ai frati: esiste anche una simpatica filastrocca sulla torre e sui monaci…
Sul pont de Ciaravall
gh'è ona ciribiciaccola
con cinqcent ciribiciaccolitt.
Val pusè ona ciribiciaccola
o cinqcent ciribiciaccolit ?


Con Sabri mi reco verso il portone principale, dove notiamo che sul legno è incisa una cicogna che stringe nel becco il pastorale, che è l’insegna dei frati locali. La cicogna era un volatile che abbondava nelle campagne milanesi, e sicuramente i monaci ne videro tantissime all’epoca della fondazione dell’abbazia, tanto da assurgerle a loro simbolo. Abbazia di ordine cistercense che è stata fondata intorno all’anno 1100 da Bernardo de Clairvaux (da cui deriva il nome Chiaravalle), avendo avuto i terreni in dono dalla curia milanese. Terreni in cui Bernardo intravide notevoli potenzialità date dalla fertilità di quelle campagne e dalla presenza della Vettabbia. Negli anni successivi lavorarono all’ampliamento del complesso anche personaggi del calibro del Bramante (su richiesta di Ascanio Maria Sforza Visconti, fratello di Ludovico il Moro), mentre alcuni affreschi furono eseguiti da Bernardino Luini e da pittori fiamminghi.
 
La presenza dei frati in questo luogo appare molto tribolata, soprattutto negli ultimi due secoli. Cacciati nel 1800 con la presenza della Repubblica Cisalpina, parte dei beni e del complesso vengono venduti o distrutti, addirittura per favorire il passaggio della nuova linea ferroviaria Milano – Pavia – Genova il chiostro costruito dal Bramante viene distrutto ! Uno scempio che ci farà perdere per sempre gioielli architettonici e pagine di storia del monastero.
Sul finire dell’800, il complesso viene acquisito dall’Ufficio per la Conservazione dei Monumenti, che fortunatamente dà il via alla ricostruzione parziale dell’abbazia. Grazie all’intercessione di Schuster, cardinale di Milano, nel 1952 i monaci tornano nel complesso, ma in realtà il loro unico possedimento è l’adiacente mulino (restaurato nel 2009), in quanto il tutto rimane comunque di proprietà del demanio.
 
Entriamo quindi nella basilica, formata da una navata centrale e due laterali, notando subito la bellezza dei capitelli di quest’ultime, dove sono scolpiti volti umani, foglie e aquile.

Ci fermiamo a vedere incantati lo splendido coro ligneo (in noce) presente al centro della chiesa, davvero di pregevole fattura, dove è rappresentata la vita di San Bernardo, ed è ancor oggi utilizzato. Lentamente poi ci rechiamo verso la parte centrale della basilica, dove sono concentrati la maggior parte degli affreschi fiamminghi. Purtroppo notiamo che buona parte di essi versa in pessime condizioni, avrebbero sicuramente bisogno di restauri urgenti…presumo che però i fondi scarseggino come al solito, e questo è un peccato, perché perderemmo dei bellissimi e storici dipinti !
 
Uno dei locali più importanti è sicuramente la cappella di San Bernardo, non visitabile purtroppo, dove sono presenti importanti affreschi quattrocenteschi.
 
Dalla basilica, una piccola porta ci conduce nel chiostro, formato da capitelli di stile gotico davvero eleganti. Facciamo il giro completo del chiostro, notando le stazioni della Via Crucis presenti su alcune colonne. Una porta a vetri (chiusa) è l’ingresso del refettorio: ampio, con massicci tavoli di legno e alcune sedie, dà la classica idea della semplicità monastica. Ci rechiamo verso l’esterno passando dalla guardiola, dove un frate funge da portiere. Durante il nostro passaggio, alcuni parenti chiedono di poter vedere e salutare il frate loro parente (attualmente i monaci presenti sono circa una dozzina)…
A destra della portineria, troviamo esposto il vecchio meccanismo dell’orologio della torre, un’opera d’ingegno meccanico davvero notevole.
 
Ci rechiamo poi al negozio di souvenir: pollame, conigli, salumi, vini e liquori prodotti dai monaci fanno bella presenza sul bancone e sugli scaffali. Su questi ultimi si trovano anche tantissimi libri, prevalentemente di carattere religioso, mentre altri sono libri per ragazzi o sulla vecchia Milano (a cui m’interesso subito, divorando al volo qualche pagina). Mentre giriamo per il negozio, veniamo a sapere che a distanza di qualche minuto, vi è la possibilità di partecipare alla visita guidata del mulino. Non ci facciamo scappare l’occasione, e assieme a una simpatica coppia milanese ed ai loro bambini, ci presentiamo all’ingresso del mulino.
 
La guida, Pamela, davvero simpatica e brava, ci accompagna all’interno. Superiamo un ponticello, dove al di sotto una volta scorreva la Vettabbia, e ci rechiamo verso la ruota del mulino. Come detto in precedenza, il mulino è stato recentemente restaurato dopo anni di oblio, ed è perfettamente funzionante. Ha comunque funzionato fino alla fine degli anni ’50, cioè fino a quando la cascina adiacente al mulino è stata abitata da numerose famiglie contadine.
La particolarità di questo mulino è che la sua trasmissione si sviluppa verticalmente, anziché lateralmente come nella maggior parte dei mulini. Su un lato della grossa ruota centrale, vi sono dei perni che ingranano su una lanterna, facendo così attivare le macine poste al piano superiore. Piano superiore in cui ci rechiamo in seguito, vedendo e scoprendo tutti gli azionamenti del mulino. Una volta messo in moto dalla corrente della Vettabbia, s’immetteva il grano nella tramoggia superiore, il quale scendeva tra le due macine orizzontali, finendo per essere sminuzzato in farina. La farina è quindi convogliata in una grossa madia, dove grazie alla presenza di un fine setaccio viene pulita dalle ultime impurità presenti, per poi finire in una marna, risultando pronta all’uso. Nella stessa sala del mulino vi è una grossa gigantografia di una foto riguardante la facciata principale della vecchia cascina adiacente, con la presenza delle famiglie dell’epoca. Un bello spaccato della vita che fu…
 
Passiamo quindi nelle stanze della cascina, ristrutturate anche loro, dove fanno bella mostra di sé due bellissimi vecchi camini. Usciamo poi quindi sul ballatoio esterno, da dove si può scorgere parte della “fattoria” dei monaci: galline e oche scorrazzano nell’aia della proprietà, a volte beccandosi tra loro, mentre alcuni maiali sguazzano nel fango, regalandoci un simpatico quadretto agricolo. La nostra guida ci porta all’esterno della cascina, mostrandoci la facciata restaurata, in modo da renderci conto com’è cambiata rispetto alla foto vista nel mulino. Effettivamente i restauri hanno cercato di riportarla in parte al disegno e struttura originali, ma le differenze rimangono comunque rimarcate. Da una parte spiace non essere riusciti a riproporla integralmente al suo aspetto originale, dall’altra parte va dato atto comunque di aver recuperato un complesso storico della zona di sicuro interesse. Per ultima cosa ci viene illustrato il “giardino dei semplici”, ovverosia un orto dove ritroviamo tante varietà di spezie o erbe officinali: rosmarino, calendula, erba cipollina, lavanda, timo, etc. etc.
 
Salutiamo quindi Pamela e ci rechiamo lentamente verso l’uscita, voltandoci un’ultima volta a vedere l’abbazia e la sua “Ciribiciaccola”: rimaniamo ancora incantati davanti alla sua maestosità e bellezza, convinti di aver dedicato bene un pomeriggio alla scoperta di una delle tante bellezze che raccoglie la nostra regione…

Ecco alcune immagini relative alla visita (scatti di Sabrina Gatti)
 

La Vettabbia




Il coro ligneo



In cima alle scale, la "madonna con il bambino" di Luini, purtroppo non visitabile

Il chiostro


La torre dell'orologio


La "Ciribiciaccola"

Il grande refettorio

Ancora la "Ciribiciaccola" in tutta la sua bellezza e imponenza

Il marchingegno del vecchio orologio della torre


La facciata dell'abbazia si specchia nella pozzanghera...


La ruota del mulino

Il vecchio corso della Vettabbia che passava sotto al mulino

L'orto dei semplici

I meccanismi del mulino

La tramoggia che porta il grano alle macine

L'interno del setaccio, dove la farina viene ripulita dalle impurità

Ancora il grosso setaccio

La marna, dove cade la farina pura


La facciata della cascina del mulino, foto risalente agli anni '40

Un vecchio camino

La piccola fattoria dei monaci

Vecchie macine

Una meridiana ha sostituito il sole precedentemente affrescato sulla cascina

Ecco come si presenta oggi la facciata della cascina

L'abbazia tra il verde dei campi...
 

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