domenica 1 febbraio 2015

Ricorrenze religiose e tradizioni: 3 febbraio, San Biagio


“A San Biàs, dùu ur in pàs”…

Esordisce con questo proverbio mia madre, chiedendole di raccontarmi come si festeggiava il giorno di San Biagio quando lei era piccola…

Il significato di questo proverbio è molto semplice: tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, le giornate iniziano ad allungarsi, e il contadino di allora riteneva di poter utilizzare le ore aggiuntive di luce dedicandole al riposo.

Ma torniamo al breve colloquio avuto con mia madre.

D. Che cosa ricordi di questa festa?

R. “A s’andava in gesa ai ses ur (ndr – una volta la messa prima era alle sei), e ai cinq e meza sunavan già i campann par ciamà a racolta i gent. San Biàs al ta prutegi dal màa da güura”.

“Sa purtava in gesa ul pan di puj, ul mangià di besti e ul sàal, i vecc purtavan ul pan giald o una crosta da pan avanzàa a Natal, e i fioeu purtavan la brusela fàa cun’t l’uga o i scigoll. Gh’era minga cum’è dess l’usanza da purtàa ul panetòn, a savevum n’anca sa l’era. Po’ quij robb chì a ì’ eran dàa ai besti par fai maràa no, e quij altar a i’ mangiaum nou, e ta fasevan vegnì no ul maà da güura”.

“Quasi tutt a li purtavan in da la spurtina, ca l’era fa da pell maroon a triangul intreciàa. Sa faseva benedì ul tutt, ma ul bell l’era quand t’andavat dal prèed a fas benedì la güura. Al ta meteva do candir incrusiàa tra lur e ligàa cun’t un nastar russ in sota al barbell, e al ta dava la benedizion, e gh’era anca quij ca basavan i candir. I candir ‘i eran stàa benedì ul dì prima, ul dì du la Candelora, in dialett ciamada anca Cerioeùla o Scirieula, al dipend da la zona”.

Riassumendo in italiano: si andava alla messa delle sei del mattino, dopo che alle cinque e mezzo le campane già chiamavano a raccolta i fedeli. Si portava il pane per i polli, il mangiare delle bestie della stalla e il sale (sempre da dare a quest’ultime), gli anziani il pane giallo e un pezzo di pane avanzato del giorno di Natale, i bambini la famosa “brusela” (la “burzela” per i gerenzanesi, ricordo per chi non lo sapesse che mia madre è di Turate, ma ovviamente da quando si è sposata risiede da tempo immemore a Gerenzano), fatta con uva o con le cipolle. A quei tempi il panettone non si conosceva ancora, per loro era un dolce assolutamente sconosciuto (anche se in realtà a Saronno esisteva l’equivalente del panettone, il famoso “Marmott”, cui mi sono ripromesso di dedicargli un apposito articolo più avanti). Questi “mangiari” benedetti, una volta inghiottiti, servivano a proteggere dai malanni invernali, come per esempio mal di gola e raffreddore nel caso degli uomini.

Il tutto era inserito nella sportina, la borsa che tutti avevano a quell’epoca. Fatta di pelle marrone, era fatta da strisce triangolari intrecciate fra loro. Il tutto era fatto benedire, ma lo scopo era anche quello di farsi benedire personalmente la gola. Si andava dal prete, il quale teneva due candele accese e incrociate fra loro, e che erano tenute assieme da un nastro rosso. Si appoggiava il mento tra le due candele, e si veniva benedetti (oppure c’erano anche quelli che le baciavano). Le due candele propiziatorie erano state benedette il giorno precedente, quello della Candelora, altra festività religiosa molto sentita.

Mia madre mi regala poi un’ultima battuta relativa ai giorni nostri sui festeggiamenti di San Biagio a Gerenzano: “Ul Don Filippo, ul dì da San Bià, al dis sempar ca la mai vedùu tanti donn in gesa cum’è qual dì lì ! A sa fann vidè a San Biàs cun’t la spurtina piena da panetòn e bumbòon da benedì, ma par tutt ul rest du l’ann, sa fan vidè mai !”

Vediamo di capire il motivo per il quale si venera in maniera così devota San Biagio, usanza tramandata da ormai tanti secoli

Biagio, vescovo e medico armeno vissuto nel IV secolo, scampò alle persecuzioni contro i cristiani rifugiandosi in una grotta. Qui, ai malati che si recavano in preghiera da lui, impartiva la benedizione, facendoli guarire.

In seguito catturato e imprigionato nelle carceri, continuò la sua opera di carità nei confronti di ammalati e infermi, finché a causa di due particolari eventi, la sua fama crebbe a dismisura.

Quali sono questi eventi? Vediamoli nel dettaglio.

  • Un ragazzo era in punto di morte a causa di una lisca di pesce conficcata in gola. La madre si rivolge a San Biagio, chiedendole di intervenire per salvare il figlio. Il Santo riesce a togliere la lisca, facendo guarire il ragazzo.
  • Riuscì a far riavere a una donna un maialino a lei sottratto da un lupo. La donna, in segno di riconoscenza, portò al Santo cibo e candele. Biagio le disse: “Ogni anno offri una candela alla chiesa che sarà edificata a mio nome, e nulla ti potrà mancare”.
Tra i simboli che ricordano il Santo, c’è il pettine da cardatore di ferro (che è lo strumento con cui fu torturato prima di essere ucciso, e che lo ha fatto diventare il protettore dei cardatori di lana), ma principalmente nelle sue immagini è spesso raffigurato con i due ceri incrociati, che ricordano il miracolo della lisca di pesce. Da qui ci si ricollega quindi all’attuale usanza di invocare il Santo come protettore della gola e del naso, ma esso veniva anche ricordato nel mondo contadino come propiziatore di buon raccolto. Ovverosia l’agricoltore portava in chiesa un pugno di semi da benedire, che successivamente seminati, si sperava garantissero una buona germinazione e raccolta.

Un’ulteriore curiosità su San Biagio: è stato il primo Santo indicato come protettore dell’amore e degli innamorati. Da anni ormai è stato scalzato da San Valentino, ma in alcune località lombarde viene ancora festeggiato anche per questo motivo (esiste ancora questo proverbio e usanza: “El prim c’al sa incontra, al sa basa”).

Altri due proverbi famosi nelle nostre località riguardanti San Biagio, sono i seguenti:

  •  A San Biàs sa benediss la güura e ul nàs
La facile traduzione ci ricollega all’usanza di metter via una parte del pane di Natale per poi farla benedire nel giorno di San Biagio e mangiarlo, preservandoci dalle malattie delle vie respiratorie. Ma in tempi più recenti, ci porta a capire anche da dove arriva l’attuale gesto di portare in chiesa il panettone. Esso ha in pratica sostituito il pane giallo, e se vi ricordate, fino a una ventina (se non di più) di anni fa, Alemagna e Motta in questo periodo “svendevano” i panettoni: due al prezzo di uno ed erano soprannominati “i panetòn da San Biàs”.

  • A San Biàs géra la gòta sota al nàs    
Ricordiamoci che il 3 febbraio, giorno in cui si festeggia il Santo, siamo appena usciti dai famosi “trìi dì da la merla”, considerati i giorni più freddi dell’anno. L’indicazione nel proverbio del fatto che si ghiaccia la “goccia” sotto il naso, vuole proprio richiamare questa situazione metereologica.

L’antica tradizione dei festeggiamenti per questo Santo fa parte del famoso trittico Candelora – San Biagio – Sant’Agata. Quest’ultima, considerata la “fèsta di donn”, faceva idealmente iniziare la “discesa” del calendario verso la primavera, quindi al ritorno verso la ripresa dei lavori agricoli di una volta. L’uscita dall’inverno era imminente, il mondo contadino dei miei amati “paisan” riprendeva vita.


Ma di Sant’Agata avrò il piacere di raccontarvi un’altra volta…

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