martedì 2 ottobre 2012

Ul farèe...

Questo racconto è tratto dal manoscritto che Mario Carnelli ed Albino Porro hanno redatto nell'ormai lontano 1984 (il libro è disponibile presso la biblioteca di Gerenzano).
Nel manoscritto viene raccontata la storia della Gerenzano che fu, quella dei nostri nonni e dell'adolescenza dei nostri padri, la vita quotidiana, i lavori dell'epoca, il dialetto come unica lingua, la toponomastica della vecchia Gerenzano...una Gerenzano scomparsa, ma che vive nel cuore dei "nostar vecc" !
Questo blog mensilmente proporrà uno di questi racconti...
All'incrocio tra via XX Settembre e via Zaffaroni c’era l’officina "dul Carloeu e dul su fioeu Zepp", due geniacci dalle mani callose e perennemente annerite. Era formata da una parte coperta, che era l'officina vera e propria, e da una parte scoperta, dove "cavaj, mull, asnitt, vacc e lisett" aspettavano che arrivasse il loro turno.
Questa parte scoperta era ombreggiata da lunghi tralci di "uga grinta" sistemati in modo da formare un vero e proprio "berceau".
A causa dell’età avanzata "ul Carloeu" limitava la sua opera alla "toilette" delle mucche mentre suo figlio "Zepp" faceva tutto il resto. Nell'officina "dul Carloeu e dul Zepp" noi ragazzi vedevamo una specie di antro di vulcano.

La luce era fioca, i colpi di martello "dul Zepp" erano fortissimi e nella poca luce si vedevano benissimo le schegge di fuoco che partivano dai ferri arroventati colpiti dalle martellate "dul Zepp". L’officina non era molto grande ed aveva le pareti annerite dal fumo della fucina e dal tempo.
Appesi qua e la c'erano dei piccoli mobiletti dove con cura erano riposti aggeggi di ogni tipo e forma; sul banco c'erano attrezzi costruiti da loro stessi per meglio poter svolgere il proprio lavoro e, in un angolo, c'era il mucchio dei ferri levati ai cavalli.

L’officina era uno dei ritrovi più vivi della vecchia Gerenzano.
Specialmente nei mesi invernali, quando per forza di cose il lavoro nei campi si fermava, i "paisan" si ritrovavano dai due maniscalchi a "cascià quatar ball". Mentre andavo a scuola li vedevo gia lì: "ul Bias, ul Rineo , ul Giuloeu du la guardia, ul Gustin Pefani, ul Busin di Mugnon, ul Durin, ul Trjapaja, ul Giuanoeu dul German" e tanti altri. E mentre loro chiacchieravano "ul Carloeu e ul Zepp" lavoravano. "Eran sempar stàa di grand lavoradur, chi duu li" e a me piaceva vederli lavorare.

Ma soprattutto mi piaceva vedere con quanta maestria "ul Zepp", dopo aver arroventato un ferro di cavallo, lo modellasse a suon di martellate sulle misure dello zoccolo del cavallo da lui prese in precedenza.
"Orcu can sa l' era bravu ul Zepp".
Poi, senza attendere che il ferro si raffreddasse completamente, lo appoggiava ancora tiepido allo zoccolo del cavallo. Dovevate vedere che fumo allora si alzava. E col fumo un'odore nauseabondo di unghia bruciata. Accertato che il ferro aderisse bene allo zoccolo, lo inchiodava e, alè, il cavallo era servito, sotto un altro. E mentre sistemava un altro cavallo ascoltava le chiacchiere dei suoi amici "paisan": "la mia Pecia la ma fa tredas litar da lacc al dì", diceva uno, "ul me moro l’estàa pasàa la tiràa a cà una bara da fen da vintun quintaj, la mia loeugia la ma fàa noeuv purcelitt, ier u mangiàa un tuist ma l’era minga bon" e così via.
Anche le mucche facevan la loro brava "toilette". "Ul Carloeu” con una tenaglia dalle ganasce affilatissime tagliava loro le unghie e le ripuliva internamente dallo sterco.

Poi, con l' apparire dei primi trattori e con la scomparsa dei "regiù", anche "ul Zepp" dovette chiudere e ora, di uno dei luoghi che fu tra i più vivi di Gerenzano non resta niente, tranne l’officina che è stata adibita a magazzino di casse da frutta da un vicino fruttivendolo.

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